Il Barocco è uno di quei movimenti storici, culturali che, seppure remoti, possono avere consonanze con ogni presente, dice Michele Rak, teorico delle dinamiche delle culture e della funzione dei linguaggi d’arte nel mutamento sociale che in Napoli civile (sottotitolo: Il Popolo civile, la Parte di Popolo e le loro arti in Napoli barocca, Argo Editrice), ha studiato aspetti meno noti ma notevoli del Seicento partenopeo, tipo: magie, devozione e satira, minestra maritata come icona della fame, comunicazione della rivolta, macchine teatrali e feste di corte.

Già indagatore di favole barocche Rak ha concentrato la sua indagine nella città dove il mix di terremoto (1631), Masaniello (1647) e peste (1656) diedero la stura a cambiamenti nel costume, nella scienza, nel diritto. La scosse telluriche e quelle del sovvertimento sociale innescato dalla folla nelle piazze davvero fecero sì che niente, dopo quella stagione, fosse come più come prima, e che sull’Italia e su Napoli si accendessero riflettori europei, con tutto che gli altri Paesi non è che se la passassero benissimo dilaniati da quella che sarà ricordata poi come la Guerra dei Trent’anni.

Venuta meno la centralità di Dio, ma anche quella dell’Uomo che aveva fatto da detonatore culturale nel primo Rinascimento, unica punto fermo rimaneva l’incertezza attorno a cui era fiorita una certa dilagante creatività che, nata in contesti ricreativi (feste e teatro) con trovate apparentemente voluttuarie o inutili, ebbe poi applicazioni tecniche piuttosto raffinate e durevoli; quelli furono gli anni di Caravaggio, Sarpi, Galileo e Basile, del telescopio, degli specchi, della camera ottica, degli automi e delle macchine della memoria. Qualcosa di assimilabile alla tecnologia fantasmagorica dell’ellenismo. Il cambiamento avevo pervaso anche il modo di comunicare gli accadimenti civili ad esempio la rivolta di Masaniello che, seppure durata solo 9 giorni, era stata capace di incrinare in Europa l’immagine della monarchia spagnola. La narrazione degli eventi prendeva strade multiformi e inedite dipanandosi anche attraverso immagini, fogli volanti, cartelli, iscrizioni, scritte sui muri vergate durante le feste, travestimenti, maschere.

Insieme ai temi meno osservati della Napoli barocca, Rak ricostruisce la formazione di un gruppo sociale, il Popolo Civile, sostenuto dagli strumenti della cultura, della letteratura e delle scienze e soprattutto dalla percezione della storia e della sua crescente forza politica.

Qual è stata la genesi di questa compagine sociale?
Terremoto, rivolta, peste hanno accentuato il ruolo politico e culturale di un aggregato sociale gemmato dalla Parte di Popolo, e imposto un’immagine della città stimolando centinaia di trattati, libelli, opere teatrali in tutta Europa. Le comunità locali hanno poi continuato a portare nelle loro tradizioni i germi dei conflitti e dei timori che questi eventi hanno fissato nel loro immaginario. Eventi che hanno sparso semi di paure e stili di vita nelle comunità che hanno elaborato, per ricordarli ed esorcizzarli, filosofie, culti, maschere, amuleti e modi di dire. È il momento dei Protettori della città, a cominciare da san Gennaro, e della rete delle edicole sacre allestite in occasione degli eventi; si impone la multiforme maschera di Pulcinella ideata da Silvio Fiorillo e in generale del modo napoletano a teatro e sulle piazze che comprende sberleffi, salti, danze, musiche, acrobazie. Sono anche gli anni del culto dei morti, cartigli apotropaici e immaginette di santi da portare addosso. Anche attraverso questi processi la città ha costruito un suo nuovo stile di vita.

Tra le consonanze tra quel tempo e l’attuale c’è quella di una comunità composita, prodotta della convergenza di comunità portatrici di culture diverse.
Napoli è stata ed è una città di popoli intrecciati, tolleranti, disincantati e, sotto traccia, conflittuali. È una città mobile, animata da comunità diverse e alimentata dai viaggiatori che continuamente l’hanno attraversata. È da secoli una città-laboratorio dove le differenze tra i gruppi si confrontano continuamente nella vita quotidiana. La città ha fatto i conti, quasi senza traumi, con molte altre identità del Mediterraneo. L’emersione di un nuovo ceto competente e competitivo è stato un segnale di rinnovamento scientifico e politico che ha fatto circolare le sue opere e idee in tutti i paesi europei. È una città più grande di quello che è. Occupa uno spazio indefinito, quello del desiderio e della memoria. Tende a espandersi verso il Sud ma anche verso il Dappertutto. In questo spazio puoi scegliere da quali paesaggi farti stringere la mente: da Castel dell’Ovo a San Lorenzo, dal San Carlo a Nisida. Puoi frequentare le musiche dell’antico e del contemporaneo, il cinema e la grafica, la scultura e il teatro, le barche a vela e la cucina, le terme e la pittura. Una varietà di conoscenze e connessi piaceri che implica una varietà di arti e scienze e perfino un’arte del saper vivere. Un processo già attivo quattro secoli fa e mobilitato ulteriormente da terremoti, rivolte e pestilenze che hanno coinvolto tutti i gruppi e suggerito modi diversi di metabolizzarne i traumi.

Anche nel 2021 viviamo una perdita di certezze in concomitanza di emergenze sovversive pandemia, fenomeni climatici, rivolte di piazza.
Gli eventi di Napoli seicentesca possono essere considerate premonizioni di tendenze. Terremoti, pestilenze, rivolte sono inevitabili e producono fratture tra i bisogni delle folle e le strategie delle istituzioni. Allora i ruoli sociali della città nascente erano definiti e già instabili, i gruppi intravedevano il cambiamento prossimo venturo. Ora le metropoli europee sono crogiuoli di aggregazioni improvvisate di marginali irraggiungibili (il fornello che ha incendiato il Ponte di Ferro a Roma, gli assaltatori del Policlinico, i frequentatori dei rave party). Nuclei di devianza si convocano anche all’improvviso con il tam tam dei social. Questi sono mezzi di comunicazione da usare senza eccessi, come è necessario far sapere attraverso le scuole, le università, le istituzioni, i media. La Napoli del Seicento prova che minimi e grandi eventi provocano scosse e svolte sociali. Spero che non ci sia più bisogno di eventi terrifici per accompagnare questa città verso la posizione che può occupare con il suo patrimonio materiale e immateriale.

La centralità dell’aspetto tecnologico-inventivo fa pensare alle istanze di quella che è oggi è stata rubricata come transizione digitale. Quale il suo pensiero su questo aspetto?
Le società si modificano man mano che la ricerca scientifica, la scuola, la tecnologia preparano strumenti sempre più raffinati ma irregolarmente diffusi nella società del doppio passo, dove, nello stesso tempo, c’è chi corre in avanti e chi arretra. La ricerca produce i mezzi per superare le differenze, tuttavia molti gruppi assimilano gradualmente strumenti e conoscenze che non sono diffuse in maniera e misura egalitarie. È un momento in cui sono necessari più libri, più ricerca, più diffusione delle regole. Anche in Italia ci sono sempre meno cittadini in grado di decifrare testi elementari, di leggere per informarsi, di apprendere la storia nei loro territori. Se possibile non dalle tv che trasmettono slogan in luogo di discorsi. Sono necessarie istituzioni esperte e funzionanti per governare i processi di trasformazione delle società complesse. Le svolte traumatiche si producono nel giro di pochi giorni e mesi quando non si amplino le scuole, non si adeguino i livelli di conoscenza dei gruppi sociali, non si favorisca la partecipazione dei cittadini di tutte le età e condizioni.

Altri elementi di contatto con l’oggi sono certe dinamiche di comunicazione popolare incentrata sulla persona (Masaniello, nella Napoli barocca) che influisce sui cambiamenti di costume…
La personalizzazione della politica contraddice in parte le necessità sociali. I protagonisti della politica devono essere portatori di idee non di tweet teatrali che non tranquillizzano i cittadini e occultano i fatti e le loro conseguenze. Le fasi di costruzione di un ponte, i benefici di un vaccino, la lettura e la scrittura di opere sono più interessanti e necessarie degli slogan. Tutti gli eventi generano cambiamenti e ora sono moltiplicati dall’effetto dei media che sono mezzi indispensabili della libertà di espressione, Ma è necessaria una crescente diffusione delle regole di convivenza e delle conoscenze adatte a affrontare senza traumi il mutamento in un patto che non escluda nessuno. Napoli ha un patrimonio ancora imperfettamente utilizzato. Per questo il suo leggendario, che scorre sotto la storia, è sempre così attrattivo. Ma è pericoloso per la stabilità di tutte le città e i paesi europei creare sacche di emarginati. È un danno allontanare o tenere lontani gli ingegni, giovani o anziani che siano, e i loro progetti. I clan, le famiglie, i favoreggiatori con abito a righe e brillantina briga per allontanare i competitori. Ma quelli prima o poi ritornano.