Anche per i più cinefili, Michelangelo Buffa è un mistero. Si può parlare di un mistero Buffa perché non è consueto imbattersi nei suoi film, vanno cercati in archivi e luoghi sensibili a un cinema fuori dagli schemi, dai formati e lungi da ogni moda. La produzione di questo valdostano nato nel 1948 è una costellazione di riprese in 8mm, video o digitale addensatasi in cinquant’anni: cortometraggi, film di famiglia, interviste, pedinamenti, sequenze di viaggio, meditazioni estetiche e spirituali, documentari enciclopedici dalle durate warholiane (Empire è uno dei film preferiti di Buffa) e infinite variazioni su alcuni temi (volti, treni, prati) girate con i mezzi più disparati, dalla Bolex Paillard di fine anni Sessanta alla odierna GoPro da testa.

IL TERRITORIO cinematografico creato da questo filmeur, come ama farsi chiamare strizzando il suo cineocchio ad Alain Cavalier, è tanto ampio da risultare difficile mapparlo interamente. Per questo va riconosciuto il coraggio della montatrice Ilaria Pezone che oggi presenta in anteprima al Filmmaker Festival di Milano due antologie da circa 100 minuti ciascuna della produzione buffiana dal 1963 ai primi anni 2000. Il primo volume è dedicato a Volti e ritratti (in programma alle 15.30 all’Arcobaleno Film center) e raccoglie opere in cui filmare volti esprime il desiderio di penetrare il mistero dell’esistenza umana e della sua fragilità.
Tra queste, Andy Warhol’s films, girato nel 1981 in Super8, in cui il regista chiede a una serie di persone che non hanno mai visto un film di Warhol di immaginarselo; oppure 8 volte Godard del 1982-88 con amici che riportano opinioni su Godard espresse da registi italiani: in entrambi i casi, la parola non è che un pretesto per osservare visi, immortalare reazioni, indagare il Disagio per citare un altro titolo in programma. In Carlo, invece, il protagonista è l’amico Scarrone con cui Buffa, da studente di Architettura a Torino, passava le giornate nelle sale. Essendo stato per anni anche critico (soprattutto per Filmcritica), nel 2017 Buffa ha raccolto nel volume Il cinema è il cinema. Vagabondaggi cinematografici di un cinefilo-filmeur molti i suoi scritti, introdotti da una prefazione in cui racconta: «Carlo mi fece entrare nel mondo simbolico del Cinematografo, mi fece capire che il cinema era un linguaggio e lo fece parlandomi della simbologia della figura di Dracula: Dracula simbolicamente raffigurava l’erotismo senza argini, senza controllo».

E NON È UN CASO che Dracula fosse l’immagine-simbolo del Movie club, storico cineclub torinese che Buffa frequentava e a cui ha dedicato un documentario di quasi sei ore intitolato In cerca del Movie (2011-13). La sua cinefilia è testimoniata anche dalle carte che costituiscono il Fondo Buffa disponibile presso l’Unione culturale di Torino. Il secondo volume dell’antologia montata da Pezone è Una realtà altra (oggi alle 21 al Cinema Beltrade) e rende conto di un’ininterrotta ricerca condotta sin dal 1963 quando, ancora quattordicenne, si fece regalare una cinepresa 8mm dal padre e ancora non sapeva chi o che cosa filmare. Da allora, dopo aver molto girato, scritto e pensato nel solco di Vertov, Godard, Mekas o Snow, Buffa ha intrapreso una fase di «ritorno a Lumière» con video dedicati all’attesa, alla stasi e alla cinesi.

OLTRE all’antologia, domenica alle 15 all’Arcobaleno Film Center si vedrà in anteprima anche Il Filmeur, documentario di Daniele Mantione con musiche di Christian Thoma che ritrae questa figura poliedrica che ancora oggi s’interroga su cosa resta del cinema. Una domanda da cui qualche anno fa è nato Adieu Lumière (2014), documentario di quattro ore sulla trasformazione della visione, realizzazione e distribuzione avvenuta con il passaggio al digitale. Michelangelo Buffa sarà a Milano oggi e domani per incontrare il pubblico.