Senza veri maestri e senza discepoli di scuola, Michel Serres, morto il primo giugno all’età di 88 anni, ha perseguito un esercizio solitario della filosofia. È rimasto estraneo alle tradizioni culturali che dominavano gli anni Cinquanta, alla fenomenologia come al marxismo, distante dai lasciti del neo-positivismo e dell’epistemologia francese su cui si era formato. Il distacco da uno dei suoi maestri, Gaston Bachelard, fu segnato dall’esigenza di sfuggire a una scienza che si edifica «contro la natura» e prende le distanze da quel reale immediato che si offre ai «cinque sensi» (titolo di uno dei suoi libri più significativi). Nato ad Agen nel sud ovest della Francia nel 1930, Serres ha conosciuto nell’infanzia gli orrori della guerra civile spagnola e poi della seconda guerra mondiale.

COME I SUOI AVI CATARI, era in lui acuta la consapevolezza della presenza delle potenze distruttive nella storia e nella cultura; giovane ufficiale di marina, abbandona la carriera militare per non restare asservito al potere delle armi. La nostra scienza è figlia di Hiroshima, ha spesso ripetuto; fin dalle origini, a fondamento del nostro sapere sta il peccato originale di distruzione, quel potere della morte che assoggetta i nostri pensieri e le nostre pratiche alla logica di Marte.
Marinaio, Serres lo è rimasto per tutta la vita. Gli oltre sessanta libri composti a partire dagli anni Sessanta compongono le rotte di un’Odissea nel Paese d’Enciclopedia, in nome di un «nomadismo strutturale» che rinnova la lezione di Leibniz, a cui Serres dedica nel ’68 un saggio di estremo rigore (Puf). Il filosofo tedesco formalizza gli assi dominanti l’età contemporanea, quello strutturale e quello informazionale. Dalla civiltà dominata dalla produzione e dal culto di Prometeo si passa alla civiltà dove primaria è la distribuzione di messaggi: sarà Ermes il nume tutelare della nuova cultura, dio dei commerci e degli incroci, messaggero e mediatore angelico, a lui sono dedicati i cinque volumi delle Èditions de Minuit che raccolgono i saggi serresiani degli anni Sessanta e Settanta. Il volo leggero di Ermes insegue le mediazioni «tra le leggi universali e i casi individuali, fra le forze della natura e le forme della cultura, tra tutti gli oggetti del mondo e tra tutti i soggetti pensanti». Sono parole di Italo Calvino che aveva certo presenti gli scritti di Serres (lo conobbe negli anni del suo soggiorno parigino) quando, nelle Lezioni americane, indicava in Ermes-Mercurio il patrono della sua idea di letteratura cui affidare il compito di «tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo».

NEL SUO VAGABONDAGGIO, Serres ha sempre cercato i varchi che consentissero di tracciare «il passaggio a nord-ovest» (è il titolo del quinto volume di «Hermès», tradotto in italiano da Pratiche nel 1984) fra cultura umanistica e scientifica. Di quest’erranza in cui il filosofo assume il ruolo di mediatore e traduttore, esemplari restano le opere dedicate a Zola (Feux et signaux de brume, 1975), all’immaginario mitico e scientifico di Jules Verne (Sellerio, 1979), ad alcuni racconti di Balzac (Genesi, Il melangolo, 1988; L’ermafrodito, 1989, Bollati Boringhieri). Navigando per mari in gran parte ignorati dalla filosofia, Serres ha finito per accompagnare, sempre in modi originali, alcuni momenti salienti del pensiero filosofico e scientifico degli ultimi decenni, soprattutto in area francese. Nei primi anni Sessanta, al tempo dell’amicizia con Michel Foucault (suo collega a Clermont Ferrand), Serres è, insieme a Lévi-Strauss, uno degli interpreti più avvertiti dello strutturalismo, facendo propria, oltre alla lezione delle matematiche, quella dello storico delle religioni Georges Dumézil. La conoscenza di Jacques Monod, che segue i corsi di Serres a Vincennes, segna il transito dalla matematica alle scienze naturali, nel tempo in cui la biochimica rivela la sua anima informazionale.

È SULLO SFONDO di un’altra amicizia, quella con Gilles Deleuze, che si illuminano i tanti incroci di percorso: la comune attenzione ai filosofi del «molteplice», attraverso la rilettura del bergsonismo e della piega barocca di Leibniz, induce la riflessione sulla natura «rizomatica» e complessa del reale. Nel tempo in cui le scienze accolgono la «sfida della complessità», sul finire degli anni Settanta, la rilettura in chiave di termodinamica di non equilibrio dei versi di Lucrezio (Sellerio) incrocia, anche in merito alla natura del tempo, le riflessioni del premio Nobel Ilya Prigogine. L’accostamento alla storia, all’inizio degli anni Ottanta, guarda alla fondazione di Roma (Roma, Hopefulmonster) con il prisma della dinamica sacrificale, teorizzata dall’amico e collega all’Università di Stanford René Girard.

Come Primo levi, anche Serres ha lavorato sui ponti che uniscono l’uomo alla natura, tanto che la sua intera opera può leggersi come una continuata proposta di «ecologia della mente». Di qui la proposta di un «contratto naturale» (Feltrinelli, 1990) che l’umanità dovrebbe sottoscrivere estendendo la sfera dei diritti anche alla natura. La Carta dei diritti delle cose chiede che si stabilisca un rapporto con l’ambiente che non sia più di predazione ma di simbiosi e di reciprocità, per sfuggire al rischio di estinzione dell’ospite che mantiene in vita la nostra specie parassita. Giunta al suo compimento l’era dura (hard) con l’esplosione di Hiroshima che ha proiettato la minaccia di morte sull’umanità intera e sul pianeta Terra, ora si apre il sipario per l’avvento di un’età dolce (soft), di cui gli ultimi scritti di Serres – Non è un paese per vecchi, Darwin, Napoleone e il Samaritano, Contro i bei tempi andati, editi da Bollati Boringhieri – declinano i possibili scenari.

SIAMO ENTRATI nell’epoca di Pollicina, le nuove generazioni controllano con il pollice quanto avviene nel mondo, le nuove tecnologie informatiche consentono a tutti immediato accesso al sapere, una democratizzazione che modifica l’antica relazione gerarchica fra docente e studente. L’età dolce è quella della pace che l’Europa sta vivendo da settant’anni, e non c’è motivo di rimpiangere l’epoca precedente, segnata da povertà e guerre, da dolori quotidiani e violenze. Nell’era dolce, il medico rimpiazza il guerriero, la pietà del buon Samaritano succede alla spietatezza di Napoleone; gli antichi ideali eroici della forza e del coraggio hanno ceduto il passo alla cura che mira a proteggere i deboli, anche se lo strepito dei violenti diffuso dai media non smette di trovare consenso. Il passato non era certo meglio di adesso, ricordava Serres, ma è nelle nostre mani far sì che il futuro non sia peggio.