Espatriato dalla nativa Repubblica del Congo e attualmente residente a Los Angeles dopo un passaggio di qualche anno a Parigi negli anni Novanta, Alain Mabanckou è autore prolifico e ormai noto al pubblico italiano grazie alla casa editrice romana 66thand2nd, arrivata a tradurne il nono titolo (Le cicogne sono immortali (pp 203, euro 16, traduzione di Marco Lapenna), riconfermandolo penna dissacrante e irriverente della diaspora africana contemporanea.
Intellettuale eclettico che si muove a proprio agio tra le sue diverse patrie, Mabanckou rimane tuttavia fedele a sé stesso e agli scrittori che ha amato facendo continuo ritorno all’Africa delle origini nei suoi romanzi (come Gabriel García Márquez fece con la Colombia, Dostoevskij con la Russia e Pagnol con il sud della Francia), ma il suo punto di vista privilegiato gli permette di riflettere con lucidità mista a nostalgia sul suo martoriato paese e continente da una posizione super partes, riservando una critica senza appelli tanto alle dittature africane corrotte quanto all’Europa e alle potenze mondiali che continuano a sostenerle.

COSTANTE PRESENZA mediatica, l’autore non ha mai nascosto infatti una iniziale simpatia per Macron, poi delusa, a suo dire, dall’accoglienza «troppo diplomatica» concessa dall’Eliseo a dittatori come Paul Biya dal Camerun e Sassou Nguesso dal Congo, sintomi secondo il nostro di una mentalità coloniale mai realmente superata.
Protagonista di questa nuova spassosa narrazione è lo stesso Michel già incontrato in Domani avrò vent’anni, che qui frequenta le scuole medie e che – con innocenza e ingenuità, ma anche voglia di capire – indaga sulle confuse vicende storico-politiche in cui si ritrova coinvolto, disvelando quel gusto per la digressione, quelle spiccate doti affabulatorie e quell’inconfondibile verve comica e satirica con cui lo scrittore ha conquistato un pubblico trasversale e internazionale.

IDENTIFICANDO L’IO narrante con un adolescente, l’intera opera gioca e si interroga costantemente sulla veridicità e attendibilità del punto di vista, come già magistralmente faceva il precedente Memorie di un porcospino. Poiché il suo pensiero e la sua presenza non sono più graditi in patria, Mabanckou evita accuratamente da qualche anno di rimettere piede in Congo, e forse il mantra di Michel (che si ripete costantemente di non esagerare perché rischia di risultare sgarbato) diventa – provocatoriamente – anche la sua rivendicazione di libertà d’espressione e del ruolo impegnato che un autore nella sua condizione non può esimersi di assumere.

LA VICENDA SI SITUA sul finire degli anni Settanta e si svolge nei tre giorni della rivoluzione socialista del Congo-Brazzaville in cui il presidente Marien Ngouabi fu assassinato.
Le notizie date dalla Voix de la Révolution Congolaise, programma radiofonico che ingozza gli ascoltatori di musica sovietica e che il padre di Michel ascolta imperterrito dalla sua radio sotto il mango del giardino, subiscono filtri, interrogazioni e interpretazioni, permettendo all’autore di ricostruire la storia nazionale e continentale (le visite di Mao-Tse-Tung, Nicolae Ceausescu e Georges Pompidou, la guerra del Biafra, le vittime della libertà da Lumumba a Cabral, passando per i meno noti attivisti anticolonialisti del Camerun Felix Moumié e Ruben Um Nyobe). E consentono anche di tratteggiare una panoramica sagace e pungente di illusioni e disillusioni delle nascenti repubbliche africane, dei regimi filo-sovietici e del clima da guerra fredda, presagendo i sanguinosi colpi di stato e le dittature militari dei decenni a venire.