Florent-Claude Labrouste ha quarantasei anni ed è un uomo che cammina lungo la soglia della disperazione. A ben guardare è sempre stato solo, ma ora la solitudine sta finendo per plasmare la sua stessa esistenza quotidiana, scandendone ogni istante. Ha incontrato molte donne, anche se è convinto di averne amata davvero soltanto una: ripensando a loro sembra però scorrere le pagine illustrate di un catalogo di prestazioni sessuali, ne ricorda la forma dei genitali, meno il volto e men che meno il carattere.

MA ORA CHE STA SCIVOLANDO pian piano verso la depressione, il sostegno che gli serve per riuscire almeno ad alzarsi dal letto la mattina arriva da un farmaco che aiuta la produzione di serotonina ma che, tra i propri effetti secondari ha quello di inibire la libido, fino all’impotenza. Per Florent, «detesto il mio doppio nome», spiega il protagonista evocando le immagini «effeminate» del cantante Claude François, è il segno della fine, un evidente annuncio di decadimento se non un vero presagio di morte.

Che lo porterà a cercare di fuggire, in primo luogo da se stesso e da un’esistenza borghese in un bel appartamento di un quartiere elegante di Parigi, verso la campagna della Normandia, alla ricerca delle tracce di ciò che è stato e ha vissuto in passato: una donna che ha tradito ma non ha mai dimenticato, il solo amico che pensa di aver avuto, un lavoro tra contadini e allevatori per conto del ministero dell’Agricoltura che gli ha assicurato una certa sicurezza economica ma nel quale sente di aver sempre fallito, perdendo per strada il senso di quanto stava facendo. Qui, non troverà risposte né antidoti alla propria sofferenza, ma incontrerà altro sconforto e disperazione: ciò che attraversa da tempo le fila della Francia rurale, della «provincia» che si sente dimenticata da Parigi come da Bruxelles.

Per quanto sia stato preceduto da una campagna mediatica tesa a presentarlo come il «romanzo dei gilet gialli», il nuovo libro di Michel Houellebecq (Serotonina, traduzione di Vincenzo Vega, pp. 347, euro 19), uscito in Francia la scorsa settimana e da domani nelle librerie italiane per La nave di Teseo, dà corpo ancora una volta prima di tutto (la «rivolta» contadina non compare che a metà del volume e resta sempre sullo sfondo della storia) a quel sentimento, in parte condiviso e compiaciuto, in parte subito, di declino che sembra caratterizzare l’opera del controverso scrittore francese fin dai tempi di Le particelle elementari e di Estensione del dominio della lotta, tra le opere che gli hanno assicurato la celebrità internazionale.

 

Michel Houellebecq

 

IN MOLTI HANNO OSSERVATO come Houellebecq sembra essere in grado di «leggere» con straordinaria puntualità tra le vicende attuali dei suoi concittadini – Sottomissione, che descriveva una Francia dominata dall’islamismo politico uscì alla vigilia dell’attacco terroristico a Charlie Hebdo, mentre Serotonina arriva ad un mese e mezzo dall’inizio della mobilitazione dei gilet gialli -, quando in realtà è forse vero il contrario. Avendo fatto dell’«inquietudine francese», dalla sua ribalta di «anarchico di destra», il fondo di commercio della propria traiettoria narrativa, lo scrittore cammina costantemente sull’incerta linea di faglia che delimita l’ordinario dall’abisso, le querelle culturali e politiche dallo scontro in campo aperto.

Prima che nei corpi, come sembra suggerire con la stessa forza dei personaggi dei suoi esordi la figura di Florent, è nell’anima che crescono per Houellebecq decadenza e cialtroneria, miseria intellettuale e abbandono della ragione. I modesti anti-eroi che popolano i suoi romanzi, segnati dalla mediocrità e, spesso da una certa dose di disgusto compiaciuto per se stessi, sono così ad un tempo testimoni e interpreti di una barbarie ordinaria dalla quale vengono avvolti consapevolmente o loro malgrado.

Odiosamente misogeni – sempre -, volgari e gretti, pieni di pregiudizi fino al razzismo – come nell’aperta ostilità all’Islam che sembra manifestarsi a tratti in Sottomissione -, «disfunzionali» in ogni sorta di relazione che intrattengono, tranne forse che nelle loro ripetute performance sessuali, pervasi di un alone mortifero, i protagonisti delle storie di Houellebecq riescono a farsi odiare e ad infastidire i lettori perlomeno quanto li affascinano e li atterriscono con i loro quesiti spesso sospesi tra la tragedia e la farsa. È un’ironia amara, pungente che domina pagine composte con una lingua «piana» eppure a tratti affascinante se non irresistibile.

COSÌ, FLORENT che racchiude la sua idea di benessere nella possibilità che ci sia nei paraggi un supermercato che offra almeno una decina di diverse marche di hummus tra cui scegliere, anela ad «una tristezza tranquilla, stabilizzata, non suscettibile di aumento ma neanche di diminuzione». Del resto, quando deciderà di lasciare Parigi, lo farà accompagnato dalla medesima incertezza che scandisce da tempo la sua «solitudine ordinaria». «Ero capace di essere felice nella solitudine? Pensavo di no. Ero capace di essere felice in generale? È il tipo di domanda che credo sia meglio non farsi».

L’orizzonte collettivo nel quale si muovono figure segnate in modo così irriducibile dall’individualismo e dal presagio della fine, è perciò anch’esso attraversato da un sommovimento perpetuo, da un annuncio di impoverimento morale e materiale. François, il protagonista di Sottomissione, decide di convertirsi all’Islam, dominante, solo per preservare la sua carriera universitaria. In lui si fa strada «l’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta».

Allo stesso modo, in Serotonina Florent constata come non ci sia un’alternativa alla crisi delle campagne francesi. All’amico Aymeric, un aristocratico che ha scelto di tornare a fare l’allevatore nelle terre di famiglia e ai suoi amici che sono all’origine di una rabbiosa protesta contro l’abbattimento del prezzo del latte voluto dalla Ue (proteste che si sono effettivamente verificate nel 2015), descrive la sua fallimentare esperienza di agronomo ministeriale, concludendo come «questa battaglia non la vinceremo mai».

LA RIVOLTA DESCRITTA nel libro – un blocco stradale assortito di pick-up, armi da fuoco e incendio di poderose macchine agricole che in realtà più che ai gilet gialli fa pensare alle milizie del Midwest americano -, si trasforma così in un «bel gesto» dal sapore romantico. E dall’esito irrimediabilmente autodistruttivo. Tutto sommato, il protagonista sembra anche immaginare la possibilità di una sorta di «ridotta» normanna, tra contadini ribelli e liquori fatti in casa. Impara addirittura a sparare, non sa bene se per vincere la noia o per prepararsi al peggio. Ma, alla fine, «anche il rumore di fondo degli allevatori della Manche e del Calvados» si trasforma in tragedia e Florent torna a Parigi, consapevole «che la vita era finita, ci era passata accanto senza mai farci davvero dei gesti evidenti, poi aveva raccolto le sue carte con discrezione ed eleganza, con garbo, e si era molto semplicemente allontanata da noi». Anche questa volta per monsieur Houellebecq la strada della redenzione è buia come la notte.

 

Campione di vendite. E di polemiche

Scrittore, poeta e saggista francese, Michel Houellebecq ha pubblicato i romanzi «Le particelle elementari» (1999), «Estensione del dominio della lotta» (2000), «Piattaforma» (2001), «Lanzarote» (2002), «La possibilità di un’isola» (2005), divenuto un film con la regia dell’autore nel 2008, «La carta e il territorio» (2010) con cui ha vinto il Premio Goncourt nello stesso anno, «Sottomissione» (2015); le raccolte poetiche «Il senso della lotta» (2000), «Configurazione dell’ultima riva» (2015), «La vita rara. Tutte le poesie» (2016); i saggi «H. P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita» (2001), «La ricerca della felicità» (2008) e «In presenza di Schopenhauer» (2017). Con Bernard-Henri Lévy ha scritto «Nemici pubblici» (2009).