Sono volati in un attimo i 30 anni che ci separano dalla caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre del 1989. «Ma la storia non è finita come aveva profetizzato Fukuyama» ci dice il Presidente Gorbaciov accogliendo la nostra piccola pattuglia di giornalisti di diversi paesi. Proprio vero quanto afferma Michail Sergeevic oggi ottantanovenne, allora assoluto protagonista di quell’evento che fece concludere prematuramente il XX secolo: sono seguiti da allora avvenimenti tragici come le guerre nella Jugoslavia, la fine dell’Urss, gli assalti neo-coloniali a Iraq e Libia ma anche momenti straordinari come il crollo dell’apartheid in Sudafrica, la fine del conflitto nord irlandese.

«PRESIDENTE, quando seppe della caduta del muro?» chiediamo. «Lo seppi la mattina dopo. Ma era qualcosa a cui eravamo pronti da tempo». Con la risposta, emerge qui un dettaglio nuovo: nessuno dei leader della Germania orientale quella sera chiese l’autorizzazione a Mosca per aprire il Check Point Charlie. «Avevamo già dato l’ordine da tempo che le nostre truppe di stanza a Berlino non avrebbero dovuto uscire dalle caserme» ricorda Gorbaciov. E aggiunge: «Sono sempre stato e rimango un avversario dello spargimento di sangue. Sono sempre stato e resto un avversario dell’uso della forza contro il popolo». Parole come pietre per chi come lui ha vissuto da leader di spicco del Pcus tutto il corso delle repressioni dell’era sovietica, a partire proprio da quella di Berlino est nel 1953 fino al colpo di Stato di Yaruzelsky in Polonia del 1982. L’ultimo presidente dell’Urss racconta come anche il leader rumeno Nicolae Ceausescu avesse espresso la volontà di andare verso la democrazia e quegli spari sulla folla a Bucarest che avrebbero provocato la sua caduta e la sua drammatica morte, quelli sì furono per lui inaspettati.

«GLI AVVENIMENTI di quei giorni, comunque, in linea di massima, non ci sorpresero. Come ho scritto nel mio libro dedicato proprio a quegli avvenimenti (Gorbaciov qui cita il suo libro V Menyayuscemsa Mira “Nel mondo che cambia” uscito in Russia nel 2018, dedicato proprio a quegli eventi ndr.) durante un viaggio a Berlino nel settembre 1989 per i 40 anni della Repubblica democratica, sentii quasi fisicamente questo malcontento, l’atmosfera di tensione, quando mi trovavo sul palco, tra le colonne di berlinesi e quelle provenienti da altre città che partecipavano alla manifestazione ufficiale. Lo spettacolo era impressionante. Le orchestre suonavano, i tamburi battevano, c’erano i riflettori, lampi di torce e, soprattutto, decine di migliaia di giovani. I partecipanti alla parata, come mi era stato detto, erano stati accuratamente selezionati. Erano attivisti dell’Unione della gioventù tedesca, giovani membri del partito. Ma rivelatore era il loro comportamento. Gridavano: «Perestrojka!», «Gorbaciov, aiuto!».

«PRESIDENTE oggi molti l’accusano di aver aperto, con le sue decisioni, all’allargamento della Nato a est». L’anziano presidente riflette a voce alta: «Non lo credo proprio; si sono fatte molte speculazioni a tale riguardo. Alcuni dicono: a Gorbaciov furono date garanzie di non espansione della Nato. Altri dicono: Gorbaciov non ha ottenuto garanzie sull’espansione della Nato. Qualcuno dice cose del genere per ignoranza o incomprensione, ma c’è chi lo fa in malafede. Riprendo ancora a un punto fondamentale del mio libro: garanzie furono fornite esclusivamente in relazione all’unificazione della Germania. Inoltre, a seguito dell’enorme lavoro svolto a livello politico e diplomatico, queste garanzie furono messe in forma contrattuale (il Trattato di transazione finale per la Germania del 12 settembre 1990). Dovevamo allora sollevare la questione della non espansione della Nato ad est in generale? Sono sicuro che sollevare allora questa questione sarebbe stato semplicemente stupido. Dopotutto, non esisteva allora solo la Nato, ma anche il Patto di Varsavia (la decisione di sciogliere questa organizzazione entrò in vigore solo il 1 ° luglio 1991). Se ne avessimo parlato allora, saremmo stati accusati di aver lanciato noi stessi l’idea di espansione della Nato ai nostri partner occidentali e di aver addirittura accelerato il crollo del Patto di Varsavia». Ecco il Gorbaciov che tutti conosciamo, lo statista che mette meticolosamente insieme i fatti.

«ALTRA COSA – continua l’ultimo capo dell’Urss – è il processo di espansione verso est della Nato, iniziato pochi anni dopo che ho lasciato la presidenza dell’Urss, che ha violato lo spirito degli accordi raggiunti durante la riunificazione della Germania, e minato la fiducia reciproca raggiunta». E conclude su questo argomento tornando a quello che per lui rimane la più grande sconfitta: la dissoluzione dell’Urss. «Sono sicuro che se l’Urss fosse stata preservata, la Nato non si sarebbe espansa ed entrambe le parti avrebbero adottato un approccio diverso alla creazione di un sistema di sicurezza europeo». «Presidente ma chi fu il protagonista decisivo in tutta quella vicenda?».

L’ORMAI vecchio leader sovietico qui è netto: «Quando voi giornalisti me lo chiedete rispondo sempre che il personaggio principale di quel periodo turbolento fu la gente. Non sminuisco il ruolo dei politici, è stato importante. Ma il ruolo principale è stato svolto dal popolo, da 2 popoli. I tedeschi, che risolutamente e, soprattutto, pacificamente espressero la loro volontà di riunirsi. E, naturalmente, i russi, che mostrarono comprensione per le aspirazioni dei tedeschi. Russi e tedeschi hanno il diritto di essere orgogliosi di essere riusciti a incontrarsi dopo lo spargimento di sangue della Seconda guerra mondiale. Senza ciò, il governo sovietico non sarebbe stato in grado di agire come agì in quel momento».

È tempo d’andare, il presidente deve riposare, in questi giorni gli impegni si sono moltiplicati. «Ma la casa comune europea da lei agognata è definitivamente tramontata?» «Così sembrerebbe, ma in queste settimane stiamo vedendo segnali perché il dialogo tra Russia ed Europa riprenda. Io resto ottimista».