C’è chi parla di grande novità, qualcuno ha osato gridare alla rivoluzione. Kiwanuka è una bomba come non se ne sentivano da tempo, vero, ma non proprio una sommossa. Già perché l’intento del trentaduenne cantante inglese nato da genitori dell’Uganda non è quello di spaventare ma di rassicurare i suoi fan. «Questo è un album che esplora cosa significa essere un essere umano oggi», ha raccontato Michael Kiwanuka presentando il suo terzo disco della carriera. Seducente come Curtis Mayfield, profondo come Bobby Womack, esploratore al pari di Terry Callier, bravo a comporre e a indagare le derive del funk e del soul, come fosse un Beck nero, almeno quanto a battere le vie del folk, quasi a rievocare le gesta di Van Morrison. In questo crocevia prende spunto la sua grana, basata su una timbrica così istintiva, coinvolgente, pungente.

CRESCIUTO al nord di Londra a suon di vinili («dove ho sempre sentito di appartenere anche ad un altrove, di avere uno sguardo culturale diverso da molti miei coetanei su ciò che ci circondava» ha raccontato in un’intervista), nel disco utilizza strumentazioni originali, frammenti sonori ora proposti da archi, ora da vecchi sintetizzatori e da strumenti acustici ed elettrici che spesso affiancano la sua voce, qualche volta superandola, doppiandola o semplicemente accompagnandola. You Ain’t The Problem è il pezzo più roots dell’intero progetto. In Hero e Rolling si sente la mano pesante dei due ingombranti produttori che lo accompagnano già dal precedente album, Danger Mouse e Inflo: l’incedere è incredibilmente stratificato, la forma è più indefinibile ma rimane l’urgente espressività della sua voce al centro di tutto. Il Telegraph ha dato al disco 5 stelle, per Uncut vale 9 su 10, il Sunday Times ha colto più di tutti lo spirito del Kiwanuka songwriter.

ESALTANDO per esempio il brano Hero, omaggio di Kiwanuka a Fred Hampton, giovane attivista delle Pantere Nere ucciso dalla polizia di Chicago il 4 dicembre del 1969, nel quale in qualche modo l’inglese compie un viaggio sonoro: dall’Angola si ricongiunge con le Americhe, passando da Londra.
Un itinerario ben calibrato e che funziona, e che proprio alla fine di questo mese lo porterà in giro per il mondo con un bel tour: dalla Salle Pleyel di Parigi al Belgio, Olanda, Germania e più in là, inizio primavera prossima, tanta Inghilterra. In mezzo una e una sola tappa in Italia, il 7 dicembre al Fabrique di Milano.