Succede a volte che siano i punti di vista eccentrici a risultare i più adatti a valutare gli effetti di decisioni che investono sistemi complessi. Dalla Sardegna, periferica non solo perché isola ma anche per motivi storici un po’ complicati da dire in poche parole, si può vedere con particolare nettezza quali siano state le conseguenze della riforma del Mibact varata nel 2014 dal ministro Dario Franceschini.
Dalla terra dei nuraghi e dei Giganti di Mont ’e Prama si capisce bene come quella che a suo tempo è stata presentata dal governo Renzi come una svolta epocale si sia rivelata un clamoroso flop, le cui dimensioni attuali, tra l’altro, rischiano di accrescersi nel tempo.

LA COSIDDETTA RIFORMA Franceschini ha creato un doppio sistema: da una parte un circuito di venti musei di eccellenza e di diciassette poli museali regionali al quale è stato affidato il compito di valorizzare, in termini economici, il patrimonio archeologico, museale, artistico e paesaggistico; dall’altra le soprintendenze, alle quali – accorpate in un unico campo di competenze – è stata lasciata la tutela. È stato tagliato di netto, insomma, il rapporto fra valorizzazione e tutela e, conseguentemente, anche il legame che intrecciava la vita dei musei a quella del loro territorio.
Ed è proprio su quest’ultimo aspetto, quello del rapporto rescisso tra strutture museali e realtà locali, che in Sardegna si misurano con particolare evidenza gli effetti negativi della «riforma».
Nell’isola non c’è nessuno dei venti musei d’eccellenza collocati da Franceschini al centro del suo progetto. C’è invece uno straordinario patrimonio archeologico, uno di più ricchi del Mediterraneo, che va dal nuragico dell’età del bronzo sino agli insediamenti greci e fenici, dalle testimonianze del dominio di Roma sino alle vestigia del periodo bizantino e di quello medievale.

QUESTA ECCEZIONALE ricchezza è spalmata sull’intero territorio regionale, in migliaia di siti. Con la separazione del sistema dei musei, passati in gestione, con la «riforma», al Polo museale regionale sardo, le soprintendenze hanno perso il luogo, la sede materiale, in cui facevano confluire i dati delle ricerche sul territorio. Parla per tutti il caso del Museo archeologico nazionale di Nuoro, nato grazie alla presenza di un nucleo periferico della Soprintendenza archeologica del nord Sardegna, che aveva fatto confluire i risultati degli scavi e delle ricerche nelle sale espositive del museo.

I VENTI DIPENDENTI che il nucleo periferico della Soprintendenza e il museo avevano insieme, con la «riforma» sono stati divisi tra due uffici: quello del nucleo periferico della Soprintendenza, che però è rimasta senza una sede, assegnata al Polo museale regionale, e quello appunto del Polo, al quale alla fine è rimasto solo il personale di custodia del Museo archeologico. Divise, le due realtà separate sono diventate troppo piccole per costituire un ufficio efficiente.
Insomma, impasse organizzativa e aggravio di spese. Con buona pace delle intenzioni di razionalizzazione e di accresciute performance economiche promesse dal ministro.
Ma quasi tutti i musei della Sardegna sono nel caos. I tecnici in servizio in Sardegna – i pochissimi storici dell’arte e architetti, così come gli sparuti archeologi e restauratori – hanno scelto in massa di restare nelle Soprintendenze, perché il Polo regionale era tutto da inventare e perché i musei erano per lo più recenti e legati a scavi archeologici degli ultimi anni. I custodi sono passati per legge al Polo, ma potendo scegliere – come invece hanno potuto i tecnici – sarebbero rimasti alle Soprintendenze.

LA CONSEGUENZA è che su undici musei sardi solo due hanno un direttore: il Museo archeologico nazionale di Cagliari e la Pinacoteca nazionale di Cagliari. Per gli altri il quadro e nerissimo: il Museo archeologico nazionale di Sassari ha un reggente provvisorio; al Museo archeologico nazionale di Nuoro, al Compendio garibaldino e al memoriale Garibaldi di Caprera, alla Pinacoteca di Sassari e all’Antiquarium di Porto Torres ci sono soli i custodi: niente direttore e niente tecnici. Infine, il sito preistorico di Monte d’Accòddi e il nuraghe di Barùmini, proclamato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità, hanno una precaria gestione concordata tra il Polo e comuni di Sassari e di Barùmini.

PREOCCUPANTI, POI, le conseguenze sul sistema di protezione del paesaggio. In tutte le Soprintendenze, non solo in quelle sarde, il raddoppio delle competenze (tutela architettonica e paesaggistica più tutela storico-artistica ed etnoantropologica) ha portato a un rallentamento delle pratiche. Se a questo si aggiungono da una parte la facoltà concessa alle amministrazioni comunali di richiedere, presso una commissione regionale composta da dirigenti Mibact, il riesame di tutti i pareri rilasciati, e dall’altra la norma del silenzio assenso che la legge Madia ha esteso alla materia dei beni e culturali e al paesaggio, ci si rende conto di quanto la rete di protezione delle Soprintendenze sia stata indebolita.

D’ALTRA PARTE, che la tutela del paesaggio sia l’ultimo dei pensieri del premier Gentiloni lo dimostra il fatto che il governo ha conferito al commissario straordinario per la riedificazione post terremoto, Vasco Errani, poteri mai visti prima di superamento di ogni procedura ordinaria di autorizzazione paesaggistica e monumentale in fase di ricostruzione.
Un capitolo inquietante che, da solo, merita un articolato discorso a sé.

 

SCHEDA

Le norme di immediata promulgazione in relazione ai due eventi sismici che hanno colpito l’Italia centrale svincolano la ricostruzione da ogni regola ordinaria di controllo edilizio del territorio e dalle norme di prescrizione di tutela rispetto al patrimonio culturale monumentale e paesaggistico. Il legislatore conferisce infatti al Commissario straordinario Vasco Errani poteri di superamento delle procedure ordinarie di autorizzazione paesaggistica e monumentale in fase di ricostruzione, a partire dall’art. 8 del primo Dl 189 – «Interventi di immediata esecuzione» (da leggersi in senso riduttivo rispetto a controlli preventivi e norme vigenti).
Tutto ciò a una sanatoria generalizzata degli abusi edilizi commessi in aree di tutela paesaggistica, e questo nonostante il codice Bbcc non consentirebbe in alcun modo di sanare ex post in area tutelata (dato confermato anche dall’Avvocatura Generale dello Stato nel parere del 16 ottobre scorso). Va ricordato che, infatti, l’80% del territorio delle 4 regioni colpite dal sisma, nei 130 comuni interessati è sottoposto a regime di tutela paesaggistica – parchi (parte di quello del Gran Sasso e tutto il Parco nazionale dei Sibillini), boschi, montagne, corsi d’acqua, etc. Dunque la sanatoria interessa una parte di territorio nazionale rilevante come estensione, enorme sul piano culturale e naturalistico. Oltre al dl 189, c’è poi l’ordinanza n. 4 del 28 novembre 2016 sui poteri del Commissario al terremoto Errani, che ne precisa anche l’applicabilità agli edifici dichiarati di interesse culturale, previa autorizzazione da parte della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, introducendo così una modalità «atipica» nelle procedure di competenza Mibact e un’ulteriore delegittimazione delle Soprintendenze. Le procedure di rimozione relative alle demolizioni e alle rimozioni macerie (un tempo numerate dalle soprintendenze) trovano nelle nuove norme una inaspettata strada facilitata.