Prima vittoria, anche se solo simbolica, per gli avvocati di David Miranda, il marito del giornalista del Guardian  Glen Greenwald, fermato per nove ore nell’aeroporto di Heathrow domenica scorsa. Ieri è arrivata l’ingiunzione dell’Alta corte di Londra a cui avevano fatto appello i suoi legali. L’ingiunzione dà in parte ragione al ventottenne brasiliano: il governo e la polizia non potranno «ispezionare, copiare o condividere» i dati sequestrati all’aeroporto, anche se è permesso l’esame per «fini di sicurezza nazionale».
In maniera un po’ ambigua, la corte inglese ha stabilito che le autorità non potranno ispezionare i dati o distribuirli né nazionalmente né a governi o agenzie straniere, a meno che non sia appunto per indagare sulla sicurezza nazionale o sulla possibilità che Miranda sia coinvolto nel «commettere, istigare o preparare atti di terrorismo», che è esattamente la dicitura dell’articolo 7 della controversa legge sul terrorismo del 2000. Una legge che si può applicare sono negli aeroporti inglesi. «I giornalisti ora sanno cosa li aspetta se passano per un aeroporto britannico», aveva scritto polemicamente Alan Rusbridger, direttore del  Guardian.
La polizia però non retrocede. In un comunicato, ha fatto sapere che «accoglie la decisione dell’Alta corte che permette l’esame del materiale che contiene migliaia di documenti di intelligence classificati, per continuare a proteggere la vita e la sicurezza nazionale.» Secondo le forze dell’ordine, «una prima analisi del materiale sequestrato ha già identificato materiale (sic) altamente sensibile, il rilascio del quale mette a rischio delle vite. Per questo abbiamo iniziato un’indagine criminale (contro David Miranda, ndr)».
Miranda, che non è un giornalista, anche se collabora attivamente con il marito sull’indagine Datagate scatenata dall’ex esperto contrattato dai servizi segreti americani Edward Snowden, era in transito a Londra proveniente da Berlino e diretto a Rio de Janeiro dove vive con il marito. Nella capitale tedesca aveva incontrato la documentarista statunitense Laura Poitras, con la quale Greenwald aveva incontrato Snowden a Hong Kong a giugno.
Fin dal primo momento della detenzione di Miranda, il Guardian (che pagava il viaggio del marito del giornalista) l’ha sostenuto anche legalmente. Il direttore ha difeso a spada tratta il diritto di cronaca e gli articoli di Greenwald parlando della vicenda come emblematica del tentativo dei governi di bloccare l’uso di fonti riservate da parte dei giornalisti.
In una intervista, Miranda ha accusato il governo inglese di «abuso di potere» e ha raccontato delle intimidazioni a cui è stato sottoposto durante le nove ore di detenzione, il periodo massimo consentito dalla legge. Bloccato non appena il suo aereo è atterrato, gli è stato sequestrato «un computer, un hard drive addizionale, due pennette di memoria, un telefono, uno smart watch e una consolle di videogiochi», come hanno fatto sapere i suoi legali, e lo hanno costretto a comunicare le sue password.
«Mi hanno minacciato tutto il tempo, dicendo che mi avrebbero messo in prigione se non cooperavo. Mi hanno trattato come un criminale», si è lamentato il giovane. «Ero in un paese straniero, con leggi diverse, in una stanza con sette agenti che andavano e venivano e non smettevano di farmi domande. Pensavo che mi sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa, che mi avrebbero arrestato per chissà quanto tempo», ha raccontato Miranda.
Paradossalmente, la Casa Bianca ha preso le distanze dalla vicenda della distruzione coatta davanti alle spie del governo inglese dell’hard disk con le informazioni passate da Snowden a cui è stato costretto il Guardian e che Alan Rusbridger definiva «il momento più strano» della sua carriera. Il portavoce del presidente Obama, Josh Earnest, ha infatti affermato che «è molto difficile immaginare uno scenario in cui questo possa essere appropriato».