Thomas Bernhard a Sigfried Unseld
Ohlsdorf, 11 luglio 1968

Caro dottor Unseld,
(…) Per quanto riguarda la questione dell’onorario credevo che, dandomi da fare per tre anni con il mio romanzo Perturbamento avrei estinto buona parte del prestito. Il fatto che una casa editrice solida e buona come la Sua non abbia potuto vendere più di milleottocento esemplari è talmente assurdo che nessuno mi crederebbe se lo raccontassi in giro. Se fossi andato a spasso da solo con lo zaino in quattro settimane avrei venduto sicuramente di più. La delusione è somma e altrettanto incomprensibile la situazione, se si considera che il libro ha avuto le critiche migliori e, tutto sommato, la migliore risonanza possibile, e così via. Non voglio parlare oltre, ma dico senz’altro che ho ridotto in polvere una grande opportunità, e come minimo tre anni di lavoro. Tutto questo a prescindere dalla splendida edizione che è stampata in modo eccellente, eccetera eccetera. Non le è venuto da pensare che, rispetto a Perturbamento, la casa editrice sia un po’ colpevole? Non lo so. Dovrebbe pensare lei a estinguere il prestito, piuttosto. E dovrebbe anche pensare che di qualcosa bisogna pur vivere. In fondo il prestito risale a quattro anni fa, chi mai riuscirebbe a sostentarsi per quattro anni?
A parte tutto, mi serve qualcosa per vivere; se non ho nulla, devo andare a lavorare, come chiunque altro. Non ho niente in contrario, anzi, tagliare la legna, e cose simili, mi piace di gran lunga più che scrivere. Ma a questo punto non potrò più pensare al romanzo a cui sto lavorando, e così via. Come pensa che si possa fare con la pancia? La si deve riempire, è semplice. Per quanto riguarda Ungenach, vorrei raccontare una storia, anche se non sono un narratore: c’era una volta un autore che scrisse Amras e che, ci crediate o no, ricevette 3000 marchi per averlo pubblicato da Suhrkamp. Lo stesso autore, due anni dopo, scrisse un volume di racconti cui diede l’infelice (a detta dell’editore) titolo Prosa e, di punto in bianco, ricevette solo 2000 marchi. Poi – essendo uno che scrive sempre, uno che scrive semplice, e così via – scrisse un libro dal titolo Ungenach e pretese (come un calzolaio per un paio di scarpe) di ricevere di nuovo 3000 marchi, come per Amras. E tanti gliene furono promessi, di comune accordo, dalla casa editrice. Tutto a posto, dunque. E adesso, immaginatevi, il medesimo autore riceve dal suo editore, sia chi sia, un contratto (con tanto di diffida!) di soli 2000 marchi che per giunta vengono presentati come un atto di generosità straordinario e assoluto(…)
In questo momento potrei essere furente, ma non lo sono perché la natura intorno alla mia bella casa è la più bella, la più attraente. Potrei essere anche qualcos’altro, ma non sono niente. Solo, mi dico, il di lui editore (ossia l’editore dell’autore), quattro anni dopo il primo atto di generosità e dopo queste prove di incuria, dovrebbe ora, magari, farsi venire un’idea generosa. Sarebbe bello. Per adesso non credo alla generosità dell’editore. Ma perché parlare così tanto. È tutto chiarissimo, fa niente, se mi guadagno da vivere nel più semplice dei modi almeno sarò libero dai milioni di spasmi ripugnanti che vanno insieme alla scrittura. La Sua lettera (del 9 di luglio) è cattiva.
Non so che cosa ne pensi. Se volesse riavere il prestito tutto in una volta, pensando di aggredirmi in questo modo, sappia che non mi ucciderà, racimolerò i soldi e li avrà. Credo però che sarebbe una soluzione folle e deplorevole.
Cordiali saluti
Thomas Bernhard
P.S. Per che razza di misero scribacchino mi prende?
P.S. 1) In questo momento me ne infischio di come lei si comporterà, trovo tutto molto ridicolo.
P.S. 2) E se lei per caso pensasse ai vari premi letterari, le dirò che il mio ricovero all’ospedale mi è costato, da solo, 60.000 marchi.
P.S. 3) Non voglio sentimentalismi. (Traduzione di Massimiliano De Villa)

 

di MASSIMILIANO DE VILLA

Nel 1968, Thomas Bernhard aveva dato da un anno alle stampe il suo secondo romanzo, Perturbamento, dove sono registrati con precisione geometrica i dirupi della coscienza in tutti i suoi sottomultipli – dalla descrizione degli abitanti della valle montana fino alla delirante lucidità del principe Saurau la cui solitudine glaciale precipita sul lettore nelle anse di un monologo fluviale e vertiginoso. È in queste pagine che Bernhard fissa, una volta per tutte, quel gesto narrativo, insieme all’accordo tra parole e ritmo che diverrà per lui idiomatico.
Le prime frequentazioni editoriali di Bernhard erano state episodiche: quattro volumi di poesie, tutti alquanto inosservati, erano usciti da tre editori piuttosto noti alla fine degli anni Cinquanta. Pochi anni dopo, Bernhard interrompe la produzione poetica per calcare il terreno della prosa, senza inizialmente trovare interesse né ascolto presso il mercato. I suoi volumi di poesia non hanno avuto risonanza ma Bernhard, poco più che trentenne, è convinto del proprio valore e, nel 1961, scrive all’editore e critico letterario Siegfried Unseld, direttore di Suhrkamp: «Alcuni giorni fa ho inviato alla sua casa editrice un manoscritto in prosa. Non la conosco, conosco solo un paio di persone che la conoscono. Ma vado da solo». Suhrkamp rifiuta il manoscritto e solo Insel, l’anno seguente, stipula con l’autore un contratto che porta, l’anno dopo ancora, alla pubblicazione di Gelo, il primo romanzo.
Sempre nel 1963, Unseld, acquista la Insel, diventandone nel giro di un anno l’unico responsabile, e quindi l’editore ufficiale di Thomas Bernhard che, nel 1968, migra verso Suhrkamp, entrando di diritto in quella che George Steiner definirà «cultura Suhrkamp», accanto a nomi squillanti come Hesse, Brecht, Benjamin, Adorno.

La forza del paradigma
Il rapporto tra Bernhard e Unseld, che si dispiega in un carteggio di cinquecento lettere pubblicato per la prima volta dieci anni fa in Germania, ha la forza del paradigma, della cifra che condensa un metodo di vita e di lavoro, un atteggiamento verso la realtà e un universo letterario. Con l’intransigenza e la ruvidità che distinguono tutti i suoi personaggi, portandoli a infuriare sui giornali, sulla radio, sull’industria della letteratura, sul sistema teatrale, sul resto del mondo, Bernhard indirizza all’editore, a intervalli regolari, invettive degne delle più burbere e scontrose, anticonformiste e antiaccademiche tra le sue figure d’invenzione. Non sono quasi mai in campo questioni artistiche o genuinamente letterarie, si tratta piuttosto di soldi, e Bernhard è implacabile: esige, minaccia, rifiuta di firmare, chiede denaro, rincara le dosi lamentando di essere pagato meno del vicino che lavora in una cava di ghiaia.
In chiave personale, che però ricalca il periodare avvolgente ed elastico della sua scrittura, e in un impasto sintattico che, come sempre, segue le leggi del respiro, le irritazioni e le polemiche frontali rivolte a Unseld servono a Bernhard anche per mantenere viva e alta l’energia creativa, per creare quella «meravigliosa tensione» che gli è congeniale. Una tensione che trova Unseld quasi sempre condiscendente, in un amalgama di indulgenza, generosità, eleganza, scaltrezza, tattica e senso degli affari che solo un editore geniale e attento al fine superiore delle cose può rivelare.
Le lettere tra Bernhard e Unseld hanno molti elementi della commedia, anche brillante, e Bernhard non perde occasione per imputare qualcosa all’editore: dalla sciatteria nella vendita di Perturbamento – cui Unseld reagisce mostrando i dati di vendita del Malone di Beckett e, ancora più indietro, i numeri minimi di Kafka – alla spudoratezza con cui Suhrkamp avrebbe lanciato un romanzo di Martin Walser, salvo trascurare quasi completamente il suo Antichi maestri pubblicato lo stesso anno, alle molte turbolenze e agli scandali pubblici di cui Bernhard è protagonista e che trovano Unseld simpatetico e solidale oppure correttivo ma mai accusatorio.

Oltre la soglia del dolore
Tutto questo fino al 1988, quando Bernhard comunica, per l’ennesima volta, di voler pubblicare un libro presso un altro editore: «Non posso più andare avanti», gli scrive per telegramma Unseld il 24 novembre, «per me la soglia del dolore non è solo raggiunta, è superata».
La risposta di Bernhard suona fredda e definitiva, segnando, quasi con un colpo di scena, la chiusura di una corrispondenza: «Mi cancelli allora dalla sua casa editrice e dalla sua memoria. Sono stato sicuramente uno degli autori meno complicati che lei abbia mai avuto».