«Mi dicono tutti resisti, resisti e allora resistiamo. Non molliamo». Ignazio Marino sembra voler rompere gli indugi, quando pronuncia la frase durante l’inaugurazione della mostra di Mario Sironi. Ma poi sulla possibilità di ritirare le dimissioni entro il limite massimo del 1 novembre precisa: «Nella vita non bisogna mai mollare. Come ho già detto sto riflettendo come prevede la legge». È una guerra di nervi, quella instaurata dal primo cittadino, che logora soprattutto il Pd.

«Siamo tutti in attesa, perché il pallino vero ce l’ha Marino, è lui che ha la possibilità di determinare iniziativa politica. Nessuno può sapere come si svilupperanno le cose se il sindaco ritirerà le dimissioni perché dopo si apre una nuova partita, pure per il Pd», è la fotografia scattata dal coordinatore romano di Sel, Paolo Cento.

E infatti i nervi sono a fior di pelle, tra i democratici. Perfino la convocazione dell’assemblea capitolina richiesta dall’opposizione per aprire il confronto con il sindaco dimissionario e fare chiarezza sulla fase, sembra metterli in difficoltà. Ieri la presidente d’Aula, Valeria Baglio, ha gelato le aspettative dei 12 consiglieri che hanno sottoscritto la richiesta presentata da Fi: «Lunedì decideremo quando convocare la capigruppo – ha detto – che deciderà sul tenere il consiglio o meno». Allo studio ci sarebbe una clausola del regolamento d’Aula che permetterebbe di convocare l’assemblea anche entro 20 giorni, ossia assolutamente fuori tempo massimo. Un cavillo dell’articolo 22 che i renziani vorrebbero sfruttare e che recita: «Qualora nella conferenza dei capigruppo non si raggiunga un accordo unanime, le decisioni sono assunte dal presidente», con il consenso “pesato” dei capogruppi. E nel caso non si raggiunga il consenso di tre quarti dei consiglieri, la decisione passa all’Aula. In sostanza, il dibattito pubblico si potrebbe evitare perfino se a chiedere la convocazione fosse lo stesso Marino.

D’altronde, se il sindaco ritirasse le dimissioni, di votare una mozione di sfiducia non se ne parla più nemmeno, nel partito di Renzi, se non fosse altro perché è difficile anche scriverla, con un motivo politicamente valido. E anche la promessa di dimissioni in blocco dei consiglieri dem appare sempre meno mantenibile. «Marino venga in Aula – è l’invito di Paolo Cento – Sel lo ascolterà con grande rigore e senza soluzioni preconcette, perché con le sue dimissioni è caduto il monocolore Pd. L’importante è che scelga bene e rapidamente perché Roma è in situazione di emergenza». Impensabile però che il sindaco possa resistere senza il Pd. E in più, malgrado Cento affermi che «parlare ora di primarie e ricandidature mi sembra assolutamente prematuro», tra i vendoliani e i democratici la trattativa per le possibili alleanze è aperta già da un pezzo.

Così, in un turbinio di notizie e smentite, l’aria inquinata rischia di diventare velenosa, nella Capitale, soprattutto per il popolo dem. I circoli si spaccano, gli assessori litigano, il segretario del Pd incalza insofferente il commissario romano e il presidente marca stretto i consiglieri, ma gli eletti mordono il freno. E in un’intervista a Repubblica Marino getta benzina sul fuoco: «Se si faranno le primarie nel Pd, è possibile che ci sia anch’io». Una pia illusione, secondo alcuni media, perché nel partito ci sarebbe chi sta già pensando a trovare il modo di sbarrare la strada al “marziano”. Ma una nota del Nazareno smentisce: «La notizia di una presunta norma anti-Marino allo studio da parte del Pd, al fine di impedirne la partecipazione alle primarie, è destituita di ogni fondamento». In ogni caso, il suggerimento più renziano lo dà l’assessore Stefano Esposito: «Se fossi in lui farei altro».

«Serve riaprire un dialogo serio tra Marino e il Pd», invita l’assessora Alessandra Cattoi, fedelissima del sindaco. E a chiederlo sono in molti. Non al Nazareno ma nelle sezioni del partito: «Nei circoli si è aperta una ferita perché è mancata la discussione – racconta Fabio Salamida, segretario della sezione Alberone – La gestione sbagliata delle dimissioni del sindaco, e del commissariamento del partito da parte di Orfini, sta creando una lacerazione pericolosa nel Pd, soprattutto se a Roma si va a votare in primavera». Ma le elezioni, ha sottolineato ieri Marino, «non ci sono ancora…».