Oggi vi racconto la mia piccola storia: mi chiamo Lamiaa, ho 11 anni, sono nata a Reggio Emilia e faccio la prima media. A scuola va tutto bene, stavo benissimo, vivevo felice e serena fino a due anni fa circa, quando un giorno ricevo un 10 in grammatica: ero cosi felice perché non succedeva tutti i giorni, ma il commento della maestra mi lasciò un po’ perplessa. Le sue parole mi fecero riflettere sulla mia identità. Lei mi disse: «Lamiaa sei stata bravissima, hai superato gli italiani!», «Che cosa?», dicevo fra me e me. «Ma io sono italiana!».

Quando tornai a casa, mia mamma notò la mia rabbia: era arrivato il momento della discussione di un argomento che non avevo mai aperto prima d’ora con i miei genitori. Mia mamma in quel giorno mi disse: «Ma non c’è niente di male se ti chiamano straniera». Perché secondo lei non è affatto un insulto. Ma il problema non era questione di insulto, era da verificare se io sono straniera o meno. Io replicai: «Mamma, ma io non mi sento straniera, sono nata e cresciuta in Italia, io non nego le mie origini, ma casa mia è in Italia e mi sento italiana. Il Marocco lo adoro, sì, però lo sento più come il paese dei miei genitori che mio, non so se mi capisci…. Non lo so, io non ci ho mai pensato prima e davo per scontato che io sono italiana!». E la discussione finì, almeno in quel giorno, con un silenzio che diceva tanto.

Passa un anno, e vado alle medie, emozionata e un po’ spaventata dalle novità. Siccome mia mamma durante l’estate mi aveva insegnato un po’ di francese con la pronuncia giusta, la mia insegnante fin dalla prima lezione aveva notato questo e mi disse: «Brava, hai una bella pronuncia, da dove vieni?». E io pensai in quel momento: «Ancora? Ma cosa vuol dire da dove vengo? Da Reggio Emilia, no?». Ah, forse voleva dire da dove vengono i miei genitori? Allora ho detto: «Cara prof, i miei genitori vengono dal Marocco, e io sono nata a Reggio Emilia».

Adesso, per favore, chiariamo la faccenda: non chiamatemi mai straniera o immigrata, a voi la scelta, potete chiamarmi italo-araba, oppure italo-marocchina, ma non sono affatto straniera; i miei genitori tanti anni fa hanno scelto di immigrare e sono venuti in Italia. Ma io non ho mai immigrato, sono nata in Italia, per cui mi sento italiana, non so con quale percentuale, però lo sono, perché lo sento dentro e lo credo. Sento come se il Marocco fosse mio papà e l’Italia mia mamma e nessuno potrebbe mai togliermi dal cuore uno dei due.

Questa non è solo la mia storia, ma è la storia di tutti i bambini e i ragazzi, figli di immigrati, che sono nati in Italia e, purtroppo, riscontrano oltre a questi stessi miei problemi anche altri problemi… Da qua vorrei lanciare un messaggio: concedete la cittadinanza italiana a tutti i nativi, risparmiateci tutti i problemi inutili che non finiscono mai e smettetela di farci vivere situazioni che ci fanno sentire quelli che non siamo. Lasciateci studiare e costruire il nostro futuro con serenità, e ricordatevi che italiani ci sentiamo dentro per davvero».

Caro amico Delrio, che delusione!

Caro Graziano,
ti ricordi quando eri sindaco di Reggio Emilia e capo dell’Anci e io sono venuto da te a portarti il mio libro «Italiani, per esempio. L’Italia vista dai bambini immigrati», da cui è nata la «nostra» bella campagna di cittadinanza «L’Italia sono anch’io» insieme a Feltrinelli, Cgil nazionale, Arci Nazionale, Caritas e tante altre associazioni e soggetti del mondo civile?

Quanto entusiasmo! Quante speranze!

Ti disturbo perché l’altra settimana ho sentito la dichiarazione del presidente del Consiglio sulla volontà di introdurre lo ius soli «temperato».

Se ho capito bene, per i ragazzi stranieri nati e/o cresciuti in Italia, verrebbe subordinato al completamento di un ciclo di studi: la scuola dell’obbligo che in Italia termina a 16 anni o la secondaria superiore per chi è arrivato qui adolescente. Tanta enfasi nell’annuncio, per poi abbassare la soglia di due soli anni?

Per me, te lo confesso, è stata una delusione.

E per te? Non si poteva proprio fare niente di meglio?

Insomma, rispetto alla situazione di oggi, – che noi, insieme a tanti altri, ritenevamo assurda e vecchia, – si abbasserebbe di soli due anni l’età di accesso alla cittadinanza. E prima? Da 0 a 16 anni? Un bambino nato in Italia figlio di immigrati, continuerebbero ad essere considerato straniero in patria? Nel Paese dove è nato e cresciuto? Un invisibile? Cosa cambia? Sei invisibile per 16 anni invece che per 18? Mah.

Ti ricordi la lettera della piccola Lamiaa Zilaft (la ripubblichiamo qui sopra) che ci ha tanto commosso, Graziano? L’ha letta anche a Roma, dove poi sei andato anche tu. Pensi che lei e i suoi genitori siano soddisfatti?

Come tu sai bene, caro Graziano, ci sono 200 mila firme per lo «ius soli». Hai contribuito anche tu a raccoglierle con grande impegno e determinazione. E sai che in Parlamento giace da anni una proposta di legge di iniziativa popolare di riforma della cittadinanza per la quale la campagna «L’Italia sono anch’io», di cui tu sei stato il principale testimonial politico, ha raccolto ben 200mila firme, che prevede sì uno ius soli temperato, ma condizionato soltanto alla residenza di uno dei genitori da almeno un anno.

Sai inoltre, caro Graziano, che la competente Commissione della Camera, dopo varie audizioni di organizzazioni sociali che sul tema lavorano sta lavorando a un testo unificato da portare in Aula.

Insomma, che ce ne facciamo di una legge che, di fatto, non riforma l’attuale normativa sulla cittadinanza?

Non valeva che il tuo amico Matteo facesse un annuncio in meno, – o magari lo facesse senza fretta, tra qualche mese, – ma annunciando qualcosa di realmente significativo? O mi sbaglio io? A proposito, se per caso non l’hai ancora fatto, ti allego qui di seguito la lettera di Lamiaa.

Fagliela leggere, a Matteo. Ciao e buon lavoro.

Giuseppe Caliceti