Al piccolo campo profughi di Azza, alle porte di Betlemme, ragazzi e genitori sono pronti a una nuova battaglia, quella per il diritto all’istruzione. «I miei figli, i nostri figli hanno diritto di andare a scuola. L’Unrwa e il resto del mondo vogliono negarci questo diritto ma noi non lo permetteremo», ci dice Maher Jibrini, un signore sulla quarantina sotto gli sguardi di approvazione di una decina di genitori e ragazzi di età varia. «Chiediamo che le scuole aprano regolarmente all’inizio di settembre, come sempre», incalza Jibrini, rappresentando con le sue parole i profughi di Azza, quelli in tutta la Palestina e i milioni che dal 1948 vivono lontani dalla loro terra. Una nuova Nabka, una nuova catastrofe, sta per abbattersi sui profughi palestinesi. L’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che da 65 anni sostiene i rifugiati e i loro discendenti, garantendo prima di tutto l’istruzione e l’assistenza medica, ha necessità immediata di 101 milioni di dollari, altrimenti non potrà aprire le sue 700 scuole nei 58 campi profughi palestinesi di tutta la regione. Una prospettiva che sta gettando nella disperazione decine di migliaia di famiglie e 500mila studenti palestinesi.

Il portavoce dell’Unrwa Chris Gunness non usa mezze parole. «Siamo in una situazione drammatica – ci dice – sono quattro mesi che rivolgiamo appelli ai Paesi donatori affinchè coprano i 101 milioni di dollari per l’istruzione ma sino ad oggi non abbiamo ricevuto un centesimo. E se le cose non cambieranno subito le scuole non riapriranno. Non abbiamo i fondi per pagare gli insegnanti e il personale ausiliario, per riparare le aule, per banchi, libri, quaderni e penne. Al momento non ci sono le condizioni per aprire». Le proteste aumentano giorno dopo giorno. Tanti profughi denunciano un “complotto” per spingerli ad insediarsi in città e villaggi. Così da mettere fine alla questione dei rifugiati e al loro diritto al ritorno alle zone di origine, ora in territorio israeliano. Altri non credono che l’Unrwa non abbia i fondi. «Siamo perfettamente consapevoli del dramma che stanno vivendo tante famiglie – afferma Gunness – ma tutti devono rendersi conto che le nostre casse sono realmente vuote e che stiamo facendo il possibile per persuadere i donatori ad aiutarci e a garantire il diritto dei profughi palestinesi all’istruzione».

La crisi finanziaria dell’Unrwa non è mai stata tanto acuta ma non è una storia nuova. Gli ultimi due Commissari generali, l’italiano Filippo Grandi e lo svizzero Pierre Krähenbühl, hanno avvertito più volte che le donazioni all’Unrwa si stanno assottigliando pericolosamente. A causa soprattutto dei milioni di profughi di altre crisi e guerre regionali (Siria in testa) che assorbono enormi risorse internazionali. E, aggiungiamo noi, anche per il disinteresse crescente del mondo verso la questione del popolo palestinese e i diritti dei profughi cacciati via dalle loro case o costretti a scappare prima e durante la nascita di Israele nel 1948 (oggi sono 527 mila in Siria, 450mila in Libano, 2 milioni in Giordania, 1 milione e 250 mila a Gaza e 762 mila in Cisgiordania, più altri sparsi tra l’Iraq e vari Paesi).

I palestinesi non intendono ascoltare giustificazioni e spiegazioni. Sanno soltanto che un altro macigno sta per schiacciarli. Fatah, Hamas e tutte le altre forze politiche parlano di una “crisi artificiale” dell’Unrwa, creata per eliminare il problema dei profughi. Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), la principale formazione di sinistra, denuncia una «cospirazione contro i diritti dei palestinesi, in primo luogo il diritto al ritorno» e critica le Nazioni Unite. «Questa crisi finanziaria ha fini politici» ha scritto in un comunicato il Fplp «si vuole costringere la nostra gente ad accettare soluzioni politiche volte a liquidare la questione dei profughi». Il Commissario generale dell’Unrwa Krähenbühl ribatte che l’impegno della sua agenzia a sostegno dei profughi palestinesi resta immutato e ribadisce che l’unica causa della crisi che minaccia l’apertura delle scuole è il deficit di 101 milioni di dollari non coperto dalle donazioni internazionali.