Il referendum costituzionale non prevede quorum, dunque il rimborso elettorale al comitato del Sì è garantito, e da ieri se ne conosce esattamente l’entità. Sarà di 504.307 euro, uno per ognuna delle firme verificate come valide dall’ufficio centrale della Cassazione. Lo stabilisce la vecchia (1999) legge sul finanziamento dei partiti, che è stata completamente abrogata ma non nell’articolo che si occupa dei referendum. È in qualche modo una norma di garanzia, perché consente in astratto a un comitato di cittadini che vuole provare ad abrogare una legge – o, come in questo caso, bloccare una modifica alla Costituzione – di poterci effettivamente provare anche senza l’appoggio di un certo numero di parlamentari o di consigli regionali. Non è però la situazione in cui ci troviamo.

Questa volta i sostenitori del Sì al referendum costituzionale avevano già la loro richiesta, presentata con la firma dei deputati e senatori del Pd e immediatamente accolta dalla Cassazione il 6 maggio. Una settimana più tardi – dunque con la certezza che il referendum si sarebbe tenuto già acquisita – il 13 maggio il comitato del Sì ha presentato la sua richiesta di raccolta delle firme. Comitato la cui creazione è stata promossa dal presidente del Consiglio e segretario del Pd insieme alla stragrande maggioranza dei parlamentari di quel partito, molti dei quali avevano già firmato la prima richiesta alla Cassazione. Non si tratta di un’iniziativa dei cittadini, ma di palazzo Chigi e del super pagato consigliere americano di Matteo Renzi. Dietro il comitato che riceverà mezzo milione di euro a carico delle casse dello stato ci sono loro.

Mezzo milione per sostenere una richiesta di referendum che è due volte inutile. È inutile perché il referendum ci sarebbe comunque stato, come abbiamo visto. Ma inutile anche perché l’iniziativa in questo caso è di chi è a favore della riforma, cioè di chi non avrebbe avuto bisogno di fare nulla: trascorsi tre mesi senza nessuna richiesta la riforma costituzionale sarebbe stata automaticamente promulgata. Questa non indifferente spesa pubblica può dunque essere legittimamente contestata anche da chi non si oppone in linea di principio al finanziamento pubblico alla politica.

Anche perché il presidente del Consiglio che è all’origine di questa iniziativa, ha più volte presentato la riforma costituzionale come una novità in grado di far risparmiare molti soldi pubblici. Anzi moltissimi: ha annunciato un miliardo di risparmi. Per la verità, quando alla ministra delle riforme è stato chiesto di fare bene i conti in parlamento, questi risparmi si sono notevolmente ristretti. In maniera comunque generosa, la ministra Boschi ha conteggiato 170mila euro di minori spesa per il senato laddove la ragioneria dello stato si è limitata a 70mila. Però Boschi ha aggiunto al calcolo la stima di ben 320mila euro che risparmieremmo per l’abolizione delle province. Pure questi assai aleatori, come l’esperienza racconta, visto che la riforma costituzionale dà solo l’ultimo tratto di penna su un’abolizione già decisa dal 2014 con legge ordinaria. Ma in ogni caso, anche a dar retta alle previsioni ottimistiche della ministra, la riforma della Costituzione voluta dal governo permetterà di ridurre la spesa pubblica di 490 miloni di euro. Adesso sappiamo che il comitato del Sì voluto inutilmente da Renzi costerà mezzo milione di euro.

* articolo corretto dopo che una precedente versione conteneva un errore nel titolo e nel testo: la cifra 504.307 euro veniva riassunta come mezzo miliardo invece che mezzo milione.