Turist /Force Majeure di Ruben Ostlund  è un Kammerspiel di montagna e un giallo della natura, dove le valanghe e la nebbia nevosa sono i mostri che ti assalgono con tutto il terrore che suscitano le forze della natura, e di cui, purtroppo, ci accorgiamo solo quando si scatenano fuori di controllo, con tutta la loro naturale violenza. Una famigliola nordica, ovvero una coppia giovane con due figli piccoli, arriva in vacanza sulle Alpi francesi, in una vallata tutta neve bianca col sole e l’allegria della settimana bianca, ma una valanga che li terrorizza senza fare loro alcun danno fisico scatena conflitti e tensioni che si trasmettono anche alle altre coppie che entrano in contatto con loro, in un contagio di ansia e insoddisfazione e recriminazioni che il pericolo e la perdita di controllo scatenano, a volte suscitando le reazioni più vigliacche ed egoiste. Bergman all’Overlook Hotel con una fotografia da video di promozione turistica, che rende per contrasto ancora più inquietante la geometrica architettura del mega-hotel o delle avveniristiche attrezzature sciistiche. È non immeritatamente il film candidato all’Oscar per la Svezia.

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The Theory of Everything di James March (Man on Wire, Shadow Dancer) è un tipico biopic, dedicato a Stephen Hawking, lo scienziato che ha trovato l’equazione del tempo e della materia, animato da una mogliettina salvifica, un generoso insegnante di musica e dal genio pieno di vita e di spirito nonostante la malattia del protagonista, interpretato con le consuete adesioni fisiche attoriali eccessive da Eddie Redmayne. Un Beautiful Mind a Cambridge, tratto dalla biografia scritta dalla moglie dello scienziato, Jane Wilde. Tra genialità e insensata follia Stella cadente di Luis Minarro (produttore di Lisandro Alonso, al suo primo film come regista), pellicola in costume su un capitolo del tutto sconosciuto di storia iberica che si intreccia nientemeno che con la dinastia dei Savoia, ovvero il biennio in cui Amedeo di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide d’Asburgo Lorena, era stato chiamato dai progressisti a governare la Spagna nel 1870, dove giunge con sogni avanzatissimi di riforma e innovazione, finendo invece per trovarsi prigioniero nel suo castello, incapace di agire perché bloccato da un parlamento litigioso e corrotto, e dalla fazioni contrapposte nell’assoluto immobilismo. Amedeo si aggira nella sua sgargiante uniforme tra le stanze sfarzose, circondato da servitori infidi, che si lasciano andare alla lascivia più decadente e pop –quasi wharoliana (lungo piano sequenza di uno di essi che prepara accuratamente un melone si cala i pantaloni e lo penetra fino a goderne, per poi servirlo in un trionfo di frutta colorata al suo padrone). Per gradi anche il monarca senza autorità indossa vestaglie di seta e cede alle tentazioni della carne con la cuoca formosa, ma ama anche appassionatamente la giovane moglie Maria Vittoria, che lo raggiunge e cerca invano di convincerlo a tornare in Piemonte.

L’esplosione di un Aznavour d’annata e di una divertente Sylvie Vartan sottolineano che non siamo in un altro Maria Antonietta (né siamo mai in un Ludwig almodovariano) ma in un film che non parla di Storia ma della Spagna post-franchista e forse del suo recente sovrano inizialmente pieno di grandi ideali e poi travolto invece da una politica corrotta e inefficace e dai desideri della carne. Parlato rigorosamente in catalano il film è disseminato quindi di segni che mettono profondamente in crisi un’identità culturale, mostrata come ibrida all’origine.
L’irlandese The Canal di Ivan Kavanagh è un giallo che ha la peculiarità di avere come protagonista un cinetecario, un impiegato di un archivio che scopre in una collezione di vecchi filmati della polizia che la sua casa in passato era stata teatro di un uxoricidio violento. Mescolando la propria realtà con le ombre della sua coscienza e i fantasmi dei vecchi film che conserva o quelli che vecchie cineprese sembrano documentare, l’uomo cade in un delirio sempre più horror verso il prevedibile finale.