Uno degli episodi più noti del romanzo di Herbert G. Wells La macchina del tempo racconta di un futuro gli umani – gli Eloj – conducono una vita di oziosa anomia. Il lavoro per produrre i beni necessari all’esistenza è svolto da macchine gestite da una popolazione mostruosa di ominidi – i Morlock – che vive nel sottosuolo. Allo scrittore inglese è riconosciuto il grande merito di aver anticipato – La macchina del tempo è stato pubblicato la prima volta nella Inghilterra vittoriana di fine dell’Ottocento – molte delle cose accadute decenni dopo. Il mondo rappresentato da Wells è una sorta di paradiso infernale, visto che gli umani pagano un tributo di carne (sono il cibo degli ominidi) per la loro alienata inattività.

Bisogna aspettare gli anni Sessanta perché l’automazione radicale del processo lavorativo torni a interessare scrittori di fantascienza, un genere ritenuto, chissà perché, minore. Da Isaac Asimov al cyberpunk, la fantascienza, spesso usata da ragazzi e ragazze come un romanzo di formazione, ha avuto con le macchine e l’automazione un rapporto ambivalente. L’attitudine umanista di critica alla «tecnica» ha così convissuto con il fascino esercitato dalla possibilità di una società che abolisce il lavoro. Le regole stabilite da Asimov per i futuri costruttori di robot sono come tavole della legge. Ma lì il confine tra macchine e umani era netta. Lo stesso si può dire per alcuni novelle dell’onirico Philip K. Dick, dove i cyborg – macchine con intelligenza artificiale – e umani sono così simili da essere indistinguibili. Per Bruce Sterling e William Gibson, invece, siamo in presenza di innesti tecnologici nel corpo umano. Non a caso la nostra epoca è lapidariamente qualificata come postumana.
Ma è solo negli ultimi anni che l’automazione e le macchine hanno popolato i sogni, in forma di incubi, di economisti, filosofi, dirigenti di imprese, fino al grido di allarme lanciato dall’Organizzazione internazionale del lavoro, dal World forum di Davos, dal dipartimento del commercio statunitense sul fatto che le macchine da qui a una manciata di anni – il numero dei quali oscilla tra i dieci e i venti anni – due terzi del lavoro umano sarà sostituito da macchine più o meno intelligenti. La «rivoluzione delle nuove macchine», tuttavia, presenta una differenza rispetto al passato: ad essere sostituito non è più solo il faticoso lavoro manuale, ma anche quello intellettuale.
Al di là dei toni allarmistici, sono analisi, studi che meritano attenzione perché l’insieme della vita umana ne sarà coinvolta.

Che il tema sia rilevante se ne è accorto anche il ministero della pubblica istruzione che ha proposto il tema dei robot, della tecnologia e dell’automazione come tracce di scritti dell’esame di maturità. C’è da esclamare: non è mai troppo tardi! Sono infatti decenni che ad ogni esame di maturità si punta il dito sulla burocratica ripetizione del sempre uguale del ministero. Se un anno c’è presa di distanza da una sterile tradizione per tuffarsi nel gorgo del contemporaneo c’è quindi da rallegrarsene, anche se lo sfondo di genericità e di pressappochismo dei temi proposti è evidente.

Ma in questo esame di maturità targato 2017, tolte le condivisibili critiche all’ineffabilità del Ministero dell’Istruzione, ritenuto a ragione corresponsabile delle politiche che stanno demolendo la scuola pubblica, bensì sulla rilevanza di questi temi proposti agli studenti, dei quali non è dato ovviamente sapere la reazione. Generalmente argomenti di questo tipo sono solo accennati nei programmi scolastici. C’è però da scommettere che molti ragazzi e ragazze li avranno approfonditi per conto loro. Sono nella stragrande maggioranza «nativi digitali», cresciuti con uno smartphone in mano. Per loro è impensabile andare al cinema, programmare la serata, organizzare una vacanza senza passare attraverso le macchine.

Sono cioè «connessi h. 24» e sanno che dietro il loro stare al mondo ci sono computer, fibre ottiche, telefoni cellulari che hanno già cancellato milioni di posti di lavoro. Leggono e vedono film in streaming che poco hanno a che fare con il canone scolastico. I robot, le macchine, i droni sono presenze abituali nelle saghe degli Hunger Games, di Divergent o del medioevo tecnologico prossimo venturo, libri che hanno conosciuto un successo di pubblico di teen-ager che ha stupito i custodi del canone dominanti dell’industria culturale. Sono romanzi e film usati da quegli stessi ragazzi e ragazze come pagine dove rispecchiare il loro irrequieto e niente affatto addomestico immaginario collettivo. Sono, altresì, estranei alla fallace contrapposizione tra apocalittici e integrati, dove i primi vedono le macchine come le app kill delle facoltà umane, mentre i secondi sono proni allo stato delle cose. Dunque una idea se la sono fatta, dentro e al di fuori le mura scolastiche di questo «paese che non è per giovani». La speranza è che queste tracce funzionino come una presa di parola su un mondo adulto che paternalisticamente li tratta come i Morlock trattavano gli Eloj di Herbert G. Wells.