Il bel mondo della sinistra meneghina si è tutto riunito intorno alla luminosa figura di Manuel Castells, il sociologo universalmente noto per libri memorabili – quali La nascita della società in rete (il primo della trilogia de L’età dell’informazione), Galassia internet, La città delle reti e molti altri – ospite alla Fondazione Feltrinelli di Milano nell’ambito delle Guido Martinotti Lecture, compianto docente milanese, pioniere degli studi di sociologia urbana. Per questo motivo, uno degli obiettivi dichiarati del talk di Castells è stato quello di mettere alla prova e impiegare gli strumenti teorici di Martinotti, al fine di leggere La città dei flussi e della tecnologia, come recitava il titolo dell’incontro. Ma di tecnologia si è discusso molto poco, anche se il tema è rimasto sempre presente, sullo sfondo. Quella a cui abbiamo assistito è stata una grande lezione di sociologia urbana.

VIVIAMO IN SOCIETÀ metropolitane sempre più complesse, si calcola che il 54% della popolazione mondiale risieda in aree urbane, e il 25% circa in metropoli. Approfondire la comprensione del legame tra la trasformazione tecnologica e lo sviluppo urbano ci permette di notare la centralità della dimensione spaziale, oltre quella culturale. Infatti, nonostante la tecnologia permetta la comunicazione a grande distanza in tempo immediato, questo non ha favorito una distribuzione della popolazione sui territori (come si immaginava a cavallo del millennio).

DI FATTO, non siamo mai stati così tanti nelle città. E, d’altro lato, queste ultime si configurano sempre più come sistemi di connessione. La stessa idea di metropoli è in rapida mutazione e sta diventando sempre più un ecosistema di metropoli in connessione costante. In questo senso, si può parlare di rete globale metropolitana. O di rete di reti.
Che caratteristiche ha questa rete di metropoli? Prima di tutto è popolata da una quantità straordinaria di persone, la densità urbanistica è variabile (non sempre tutto lo spazio è urbanizzato o saturo), vi è una grande concentrazione di attività e servizi, è policentrica e non ha un nome.

QUEST’ULTIMO FATTORE è interessante perché significa che spesso queste aree metropolitane non hanno istituzioni che le governano in modo organico. Il riferimento va, per esempio, all’agglomerato urbano della California del Sud (che comprende Los Angeles, Santa Barbaba, San Diego fino a Tijuana), oppure al distretto di Shenzhen e Hong Kong o alla Grande Area Metropolitana di Tokyo. Indubbiamente è il progresso tecnologico a permettere l’emersione di questo fenomeno, perché solo la tecnologia digitale consente che si verifichino contemporaneamente i due movimenti opposti della concentrazione e della dispersione di merci, di valore, di cultura. Tecnologia e logistica sono i due movimenti del medesimo ritornello che caratterizza i nodi della rete di reti globali.

SE UNA RETE È TALE perché formata da più nodi, allora in questi casi ognuna ha diverse gerarchie di nodi. Perché non tutti i nodi sono uguali tra loro. Quando coincidono spazialmente, si ha la cosiddetta economia di sinergia, come nel caso di Londra perché concentra più nodi attivi su diversi livelli (distretto finanziario, tecnologico, etc.).
La capacità di creazione di valore e di ricchezza materiale che si verifica in circostanze simili produce però anche tre elementi problematici: gravi disuguaglianze sociali, un nuovo tipo di segregazione sociale, operata dalle classi alte su sé stesse – un’auto-esclusione che dà vita ai «ghetti» dei ricchi – e soprattutto la paura, quale grande emozione collettiva che domina sempre più le metropoli. Perché le società sono sì sempre più multiculturali ma non c’è integrazione, e così le diverse culture rimangono aliene una rispetto l’altra. Tutto ciò conduce a uno scontro tra i «rurali» abbrutiti (ossia i poveri) e i «cosmopoliti» (le élite culturalmente avanzate) che disprezzano quelli che non sono come loro.

È STATO QUESTO, forse, il passaggio più interessante della lezione, vista la composizione dell’uditorio connotato da professori universitari, mondo della cultura, ricercatori più o meno giovani, dottorandi e dottorati, wanna-be intellettuali di ogni età e buona borghesia milanese. Ma nessuno sembrava aver colto il messaggio che è caduto apparentemente nell’indifferenza. È da notare che, a parte la totale assenza di elementi di critica ecologica, i problemi citati sono stati appena nominati, timidamente, forse per non turbare l’uditorio. E non c’è stato modo di approfondirli ulteriormente.