Un 25, anche se di luglio, questo mese dei luglio, un corpo massacrato con segni dappertutto di torture, ritrovato sulla Desert Road del Fayoum a 130 km dal Cairo; il cadavere, quello di un giovane sparito da quasi tre giorni dal suo quartiere alla periferia del Cairo come ha denunciato la sua famiglia; poi una voce anonima che avverte i parenti che il giovane sparito è stato «vittima di un incidente stradale» e che il corpo è nell’ospedale del Fayoum.

Troppe le coincidenze, e subito dai portali egiziani gli attivisti dei diritti umani gridano forte e chiaro che Tharwat Sameh, questo il nome del giovane di 19 anni trovato senza vita e con il corpo irriconoscibile e massacrato, «è morto come Giulio Regeni».

Sgomenta inoltre il fatto che il corpo di Tharwat Sameh senza vita sia stato ritrovato nella zona del Fayoum, dove il direttore della Sicurezza Nazionale è quel Khaled Shalabi già investigatore capo della polizia di Giza, lo stesso funzionario – ricorda su queste pagine Pino Dragoni – che cercò subito di depistare le indagini sulla morte di Giulio Regeni parlando proprio di «incidente stradale»; e che probabilmente ordinò perfino di seguire il ricercatore italiano e poi di sequestrarlo.

Coincidenze? No, si ripete e si conferma la crudeltà del sistema di governo del generale-presidente Al Sisi al potere con un colpo di stato del luglio 2013.

Un sistema basato sulla repressione violenta di tutte le opposizioni, con il metodo delle sparizioni forzate. A confermarlo non ci sono i dati del 2017 solo per la chiusura del centro per i diritti umani Nadeem Center e la repressione di molti attivisti.

Ma vale la pena ricordare che tra l’agosto 2015 e l’agosto 2016 l’Egyptian Committee for Right and Freedom (Ecrf, consulente della famiglia Regeni) registrava almeno 912 casi di sparizioni forzate; e il Nadeem Center, documentava tra il gennaio e l’ottobre 2016 433 casi di torture in prigioni e caserme; sono decine di migliaia di prigionieri politici, e dal golpe del luglio 2013 a metà 2016 circa 2.978 omicidi extragiudiziali, 91 dei quali per tortura e 17 in attacchi ai campus universitari.

Altro che «caso isolato», come si giustificò il governo egiziano per Giulio Regeni. È il modello Al Sisi, il «grande statista» interlocutore di Matteo Renzi che lo sdoganò due volte, in visita al Cairo e ricevendo il golpista in Italia come leader emergente «che ha ricostruito il Medio Oriente» e salutandolo enfaticamente: «La tua guerra à la nostra guerra, e la tua stabilità è la nostra stabilità» (a proposito, di questo rapporto sperticato e ammirato con Al Sisi su «Avanti», le premurose memorie dell’ex presidente del Consiglio, stranamente non c’è traccia e tutto sembra essere stato abilmente rimosso e censurato).

Ora, nel silenzio diffuso della flemma di governo di Gentiloni, crescono le iniziative per riallacciare con il Cairo rapporti diplomatici sospesi proprio per l’uccisione di Giulio Regeni e l’omertà del Cairo sulla sua morte: dopo la visita del presidente della commissione difesa del Senato Nicola Latorre le agenzie indipendenti egiziane scrivono che «a settembre arriverà il nuovo ambasciatore italiano»; e proprio in questi giorni si è riunito il Consiglio di associazione Unione Europea-Egitto che, denuncia Amnesty International, davanti al miraggio delle vaste risorse petrolifere e del mercato delle armi, non menziona nemmeno nei documenti preparatori il nodo della violazione dei diritti umani.

Sì, Tharwat Sameh è morto come Giulio Regeni. Del resto la famiglia Regeni ha sempre voluto insistere su una dolorosa verità: che Giulio Regeni, sparito il 25 gennaio del 2016 e ritrovato cadavere il 3 febbraio, è morto proprio come muoiono i giovani oppositori egiziani.