In persiano rivoluzione si dice enqelab, la stessa parola in arabo significa colpo di stato. La coincidenza è curiosa. Di sicuro nel 1979 in Iran si è svolta una rivoluzione che ha visto trionfare la versione khomeinista dell’islam sciita: ed è l’unico esempio di una rivoluzione che abbia avuto successo in Medio Oriente. Nel 2011 in Egitto si è sfiorato qualcosa di simile, ma da subito il movimento di piazza Tahrir si è trasformato in un colpo di stato militare. L’esercito ha agito però con molta cautela per riprodurre il consueto rapporto tra élite politica e militare. Ha agito sul potenziale rivoluzionario dei movimenti di piazza. L’incontro in piazza Tahrir tra gli organizzatissimi Fratelli musulmani e i giovani rivoluzionari ha immediatamente disattivato il potenziale del movimento.
In un secondo momento, gli islamisti sono stati usati dall’élite militare per dimostrare che solo l’esercito ha il «potenziale rivoluzionario» per guidare il paese. E così l’esercito ha di nuovo azzerato la distinzione tra politici e militari intervenendo direttamente per annullare la rivoluzione del 25 gennaio 2011 con il colpo di stato del 3 luglio 2013. Da quel momento i militari hanno imposto la vendetta verso gli islamisti e un controllo scientifico sulla società egiziana: facendo ciò che la Fratellanza si era dimostrata incapace di fare (coprifuoco, controllo della polizia, leggi anti-proteste, leggi anti terrorismo). Il potenziale rivoluzionario dei movimenti è stato azzerato. Per chi muoiono ora gli egiziani? Se fino al novembre 2011 gli attivisti morivano per la rivoluzione, se fino al 30 gennaio 2013 alcuni egiziani sono morti per opporsi alla Fratellanza, se fino al 14 gennaio 2014 gli islamisti si sono immolati in nome dell’ex presidente Morsi, chi muore ora lo fa per servire l’interesse del generale Abdel Fattah Sisi. Non è un caso che l’annuncio ufficiale, di lunedì sera, della candidatura di Sisi sia arrivato dopo tre attentati e 50 vittime. Riportando alla ribalta, per tipo e luoghi degli attacchi, le solite oscure connessioni tra Sicurezza di stato e islamismo radicale jihadista. Il sangue è servito ai militari per dimostrare che l’unica soluzione per gli egiziani è il ritorno del Faraone. E così, se il passaggio dall’élite politica a quella militare è stata impercettibile per gli egiziani nelle tre presidenze precedenti, tanto che pochi associano all’esercito Gamal Abdel Nasser, Anwar al Sadat e Hosni Mubarak, questa volta, il passaggio dall’uniforme agli abiti civili da presidente è avvenuto dopo un anno di governo islamista, che per i sostenitori dell’esercito verrà considerato come un «incubo scampato», per arrivare a incoronare Sisi e la sua «lucida follia». Perché solo un folle può ordinare di uccidere 700 persone accampate in una piazza della sua città, fingendo di compiere un dovere o per dimostrare di non poter assecondare ulteriormente la volontà di Morsi, come ha dichiarato il generale in un’incredibile intervista al quotidiano Masry al youm. Dopo il 25 gennaio 2011, i militari hanno optato quindi per un anno di farsa in cui hanno portato allo scoperto il lato oscuro dello stato: la Fratellanza musulmana, con lo scopo di dimostrare a tutti che si tratta solo di «terroristi incompetenti». Ora il cerchio si chiude intorno a Sisi: sarà lui il nuovo Mubarak.
E tutto l’esercito lo acclama. Questo dimostra come il pensionamento dell’ex capo del Consiglio supremo delle Forze armate Hussein Tantawi, con decine di generali, nell’estate del 2012, dai media rappresentato come uno dei principali successi di Morsi, altro non fu che un colpo di stato dentro l’esercito che ha escluso i generali vicini alla Fratellanza e ha portato in auge i «nasseristi», stile vecchio regime, che ora regnano indisturbati.
Ora solo la contestazione radicale del ruolo politico dell’esercito potrebbe riportare in vita le aspirazioni rivoluzionarie di Piazza Tahrir. Gli attentati delle ultime ore sembrano diretti contro i militari. Un generale e alto funzionario del ministero dell’Interno, Mohammed Saeed, vicino a Sisi, è stato assassinato a Giza. Mentre all’ex presidente Mohammed Morsi non resta che continuare ad auto-proclamarsi presidente in carica in vista della prossima udienza, il 12 febbraio, di uno dei quattro processi in cui è accusato di evasione, grazie ai rapporti con Hamas, dalla prigione dove lo aveva rinchiuso Mubarak. Così avrà forse il tempo pe ri-trasformare la Fratellanza da pilastro dello stato a movimento rivoluzionario. Sperando che intanto gli egiziani non abbiano dimenticato che il nuovo presidente Sisi era un militare.