Un testo che dopo 60 anni resta sorprendente e misterioso, benché stia ormai tra i maggiori classici contemporanei. Sono Le serve che Jean Genet scrisse nell’immediato dopoguerra, forse ispirandosi a un brutale fatto di cronaca. In scena tre donne: Madame, la svanita padrona di casa, lussuosa quanto lussuriosa. Le due serve, forse sorelle, vivono il loro impiego in una dimensione quasi metafisica: solerti per quanto controvoglia, si misurano ogni giorno nel provare l’esercizio del potere tra loro, in un teatrino che porta ogni giorno alla morte della padrona, una sorta di auspicio fatto in prova generale. Seguendo un testo bellissimo e crudele,e irresistibilmente divertente.

In questa versione che la regia di Giovanni Anfuso vorrebbe magniloquente fino alla goffaggine (scene e mobilio tutti esagerati) per fortuna le due Serve hanno la bravura e la tempra di Anna Bonaiuto e Manuela Mandracchia, che dell’ironia contro comportamenti e illusioni borghesi fanno un’arma micidiale. Irresistibili, una nella propria temibile compunzione, contenuta e affettata, la seconda nello slancio verso l’iconografia da grand opéra, posseduta da sentimenti e stimoli tutti incontenibili. E la loro condanna di facili costumi e luoghi comuni della ricchezza (senza corrispettivo nella Madame spaesata e spersa di Vanessa Gravina) è senza appello. Come forse voleva Genet. G. Cap