Solo il 54,3% dei medici ospedalieri pensa che lavorerà ancora in un ospedale pubblico nei prossimi due anni. L’eccessivo carico di lavoro, legato alla carenza di personale, la rischiosità, la cattiva organizzazione e lo scarso coinvolgimento nelle decisioni, le retribuzioni non adeguate all’impegno chiesto rappresentano i fattori determinanti per il 60,3% dei medici. Oltre il 75% (in particolare le donne) ritiene che il proprio lavoro non sia stato valorizzato durante la pandemia. È quanto emerge dal questionario promosso a ottobre tra gli inscritti dal sindacato dei medici Anaao Assomed.

«Tra lavoro somministrato tramite agenzie, che per il fastidio incassano 5 milioni ognuna, lavoro a cottimo per personale dipendente, lavoro forzato per i giovani medici, sembra finita la stagione del lavoro senza aggettivi» si legge nel testo. Cosa significa lo spiega il segretario nazionale, Carlo Palermo: «La stragrande maggioranza dei medici assunti per la pandemia ha avuto contratti Co.co.pro., da libero professionista o a Partita Iva così le aziende hanno guadagnato sugli elementi previdenziali e assicurativi, che sarebbero stati a carico di chi assume. Ma le equipe mediche hanno bisogno di lavoro stabile e sicuro, dell’aggiornamento continuo di ogni membro. In periodo Covid, non potendo fare i concorsi, si sarebbero potute fare le assunzioni a tempo determinato, che almeno offrono le tutele sindacali».

Si prosegue sulla strada del lavoro precario anche per il Piano vaccinazioni: «Il commissario Arcuri – prosegue Palermo – ha deciso di pagare le Agenzie interinali per assumere medici con contratti di lavoro somministrato, quando avrebbero potuto reclutarli le regioni e le aziende sanitarie, che poi dovranno gestire il servizio. Agli specializzandi invece è stata offerto un “lavoro forzato”: crediti formativi e rimborsi per avere manodopera a basso costo». Ma al Servizio sanitario il personale serve o è solo una fase legata all’emergenza? «Per il Covid sono state fatte circa 7.500 assunzioni precarie – prosegue Palermo – ma, a monte, c’era una carenza di circa 6.500 medici, persi in 10 anni di tagli, più i circa 7mila camici bianchi andati in pensione. In sostanza, abbiamo sostituito lavoro stabile con quello precario, lasciando i buchi di personale intatti».

Una fuga dal Ssn è la previsione dell’Anaao: «Si moltiplicano i casi di medici che danno le dimissioni per fatica e stress, alla ricerca di luoghi più tranquilli dove esercitare, senza fare urgenza, notti, domeniche. In alcune regioni, come il Veneto, le uscite sono al 50% per limiti pensionistici e 50% per andare a lavorare altrove. Con il blocco delle visite specialistiche per la pandemia – conclude Palermo – i malati non Covid si rivolgono al privato, se il privato si espande prenderà gli specialisti che scappano dal pubblico. Occorre certamente aumentare le risorse destinate alla Sanità pubblica ma anche coinvolgere i professionisti nei processi decisionali».

Il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, commenta: «La pandemia ha amplificato carenze frutto di decenni di tagli lineari». Due anni fa Anelli ha firmato provocatoriamente un assegno da mezzo miliardo: il controvalore di 15 milioni di ore di straordinario che i medici del Ssn hanno effettuato ogni anno oltre il tetto massimo, e che non sono state pagate. «Il Covid – spiega Anelli – ha messo in luce difetti ormai strutturali: carenza di personale, con turni anche di 24 ore; carenze a livello edilizio con l’impossibilità, in molti ospedali, di separare i percorsi “sporco” e “pulito”; carenze di posti letto e Terapie intensive; carenze nella protezione con molti medici contagiati, 283 i camici bianchi morti da inizio pandemia».