Città del Messico blindata, ieri, per la grande manifestazione confluita in Piazza della costituzione (el Zocalo). «Il dolore ci accomuna», dicevano alcuni cartelli. Il dolore per i 43 studenti desaparecidos, che mancano dal 26 settembre. I loro volti hanno fatto il giro del mondo, e la vicenda è nota. Durante una mobilitazione contro i tagli alla scuola pubblica nei pressi di Iguala (nel Guerrero), un gruppo di studenti è stato attaccato dalla polizia locale e dai narcotrafficanti dei Guerreros unidos. Risultato, sei ragazzi uccisi, oltre 50 feriti e 58 scomparsi, poi risultati 43: studenti delle combattive scuole rurali messicane, detti «normalistas».

Per gli inquirenti sarebbero stati uccisi e bruciati dai narcotrafficanti. Per i famigliari e per la piazza, sono ostaggi dello stato e della sua inadempienza: «Vivi li hanno presi e vivi li vogliamo», hanno gridato le strade del Messico. E così la rabbia si è unita al dolore e, da allora, diverse sedi istituzionali sono state attaccate. Ieri, nel 104mo anniversario della Rivoluzione messicana, dal Zocalo è scomparsa la prevista parata. Stessa decisione è stata presa negli stati del Guerrero e del Michoacan.

In Piazza della Costituzione sono arrivati studenti di tutte le università, sia pubbliche che private, sindacati e organizzazioni sociali, partiti da tre punti della capitale. La manifestazione è cominciata alle 15 (le 22 italiane), troppo tardi per noi. Nella mattinata, si è tenuta un’assemblea inter-universitaria che alla fine ha deciso di non bloccare le vie d’accesso agli aeroporti. Nel pomeriggio, circa 300 giovani col passamontagna hanno però cercato di farlo lo stesso, circondati da uno schieramento di agenti in tenuta antisommossa. Sulle reti sociali sono circolate indicazioni sulle precauzioni da prendere per andare in piazza: con un fazzoletto bianco, hanno suggerito alcuni, come simbolo di protesta pacifica. Armati, comunque, di cellulare o telecamera, per filmare possibili provocazioni, hanno suggerito altri. Al centro della mobilitazione, la Carovana informativa di famigliari e militanti, partita da Iguala, approdata in diversi punti del paese e arrivata poi in Piazza della Costituzione. Manifestazioni si sono tenute ieri in tutti gli stati del Messico e anche all’estero: dagli Usa al Canada, dall’America latina all’Europa.

Una protesta dai forti contenuti politici, per far emergere i guasti prodotti dalle politiche neoliberiste, il persistente intreccio tra mafia e politica e la società che esige un cambio strutturale.

Il massacro di Iguala ha portato alla scoperta di molte tombe clandestine contenenti resti umani. E si indaga ancora su quelli trovati nella discarica di Cocula, vicino al luogo del massacro. Le fosse comuni clandestine sono una realtà purtroppo diffusa in un paese ad altissimo rischio sicurezza, squassato dalla guerra dei cartelli della droga e dallo strapotere di militari e polizia. Ma, questa volta, la società sembra scossa dal profondo: «Oggi sono scesi in piazza settori sociali che prima stavano a casa. Speriamo nasca un forte movimento su scala nazionale», ha detto alla stampa Omar García, studente della Normal Rural Raul Isidro Burgos, sopravvissuto all’attacco di Iguala. E il presidente Henrique Peña Nieto, coinvolto in uno scandalo per una casa milionaria della moglie, ha pubblicato l’elenco (più che sostanzioso) dei suoi beni. Ma la piazza chiede le sue dimissioni.