Sulla home-page de La Jornada, storico quotidiano messicano, affianco al nome della testata campeggia un fiocco nero in segno di lutto. «Il tempo scorre e gli omicidi di Miroslava Breach e Javier Valdez non sono stati chiariti: 408 giorni, 355 giorni», recita il testo del banner fissato a metà pagina. Le foto di Miroslava e Javier, corrispondenti dagli stati del Chihuahua e Sinaloa ammazzati con colpi d’arma da fuoco l’anno scorso, ricorda ai lettori che la violenza e l’impunità sono sovrane in Messico.

Sono oltre 130 i giornalisti assassinati dal 2000 ad oggi, in media uno al mese nel 2016 e 2017, e sono almeno 24 quelli desaparecidos. Solo Siria e Afghanistan mostrano cifre peggiori.

Le autorità criminalizzano le vittime, attribuendo in automatico i delitti a bande criminali, spesso senza investigare. Miroslava e Javier, come gli altri, sono stati uccisi perché scomodi, invisi ai poteri forti che gestiscono le risorse nei territori: la politica, i militari e le polizie in contubernio con il crimine organizzato, che ha diversificato le sue attività dal narcotraffico al traffico di armi e persone, dall’estorsione alla protezione delle multinazionali e la formazione di guardie paramilitari.