Per il governo messicano, non ci sono dubbi: i 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi dal 26 settembre del 2014, sono morti. Li avrebbero uccisi e bruciati i narcotrafficanti dei Guerreros Unidos in una discarica di Cucula, nello stato del Guerrero, alimentando il fuoco con numerosi pneumatici e gettando poi i corpi nel fiume. Il caso degli studenti della Normal Rural di Ayotzinapa (una delle combattive scuole rurali presenti in Messico) ha commosso il mondo e ha evidenziato il perverso intreccio tra mafia e potere che governa il paese. Il 26 settembre, poliziotti e narcotrafficanti, insieme, hanno attaccato i gruppi di normalistas che protestavano contro le politiche neoliberiste del governo, provocando 6 morti e una ventina di feriti. Alcuni studenti sono fuggiti, altri sono scomparsi.

Secondo alcuni pentiti, la polizia locale ha consegnato i 43 ragazzi ai narcos e questi li hanno uccisi e bruciati. Secondo i famigliari e i movimenti sociali, scesi ripetutamente in piazza per denunciare «il crimine di stato», i ragazzi sono vivi e potrebbero trovarsi nelle caserme dell’esercito. Luoghi tristemente noti per la brutalità della repressione in un paese che registra un sequestro ogni tre ore. Durante la presidenza del neoliberista Enrique Peña Nieto, il numero delle denunce per gli arresti arbitrari (e per le torture) è arrivato a 5.144. Un paese particolarmente pericoloso per attivisti, sindacalisti e giornalisti (l’ultimo è stato ritrovato morto pochi giorni fa). I famigliari accusano il governo di aver sottovalutato o inquinato l’inchiesta e dubitano che i resti dell’unico studente identificato si trovassero effettivamente nella discarica. E continuano a battersi, sia nelle strade che presso gli organismi internazionali.

Il prossimo 2 e 3 febbraio, l’avvocato delle famiglie dei 43, Vidulfo Rosales, presenterà una formale denuncia contro lo stato presso il comitato per le sparizioni forzate dell’Onu. Il legale ha rifiutato la «certezza legale» della morte dei ragazzi annunciata dal procuratore generale messicano Jesus Murillo Karam. Quello stesso che aveva provocato l’indignazione popolare dicendo durante una conferenza stampa: «Adesso mi sono stancato». E subito sulle magliette dei manifestanti era apparsa la stessa frase: per indicare che anche una gran parte del paese si era stancata di subire l’arroganza del potere.

Il portavoce dei famigliari, Felipe de la Cruz, ha denunciato le manovre politiche che nasconde la decisione del governo di concludere le indagini, in vista delle elezioni regionali e federali di metà mandato, del prossimo 7 giugno. Per l’avvocato Rosales non c’è «prova scientifica» che gli studenti siano stati uccisi nella discarica di Cucula.

Inoltre, l’indagine si presenta «incompleta» e dipende «eccessivamente» dalle dichiarazioni di 4 detenuti. In Messico, sono riprese le marce e i blocchi stradali. Ieri, studenti della Normal di Amilcingo, hanno bloccato il palazzo del governo locale al grido di: «L’educazione non si vende, l’educazione si difende con la lotta popolare».