In un documento di 608 pagine, un’altra verità sulla scomparsa dei 43 studenti di Iguala. In Messico, il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) – un organismo parte dell’Organizzazione degli stati americani (Osa)- ha consegnato al governo la seconda parte di un’inchiesta durata oltre un anno, che respinge la versione ufficiale: i «normalistas» della scuola rurale di Ayotzinapa, attaccati dall’azione congiunta di polizia e narcotrafficanti durante una protesta contro il governo, il 26 settembre del 2014, non sono stati bruciati nella discarica di Cocula. Non vi sono evidenze in merito.

Un incendio di tali proporzioni, che avrebbe richiesto un lavoro di giorni e una gigantesca quantità di combustibile, non è stato notato né rilevato – avevano già concluso gli esperti.
Ora, il Giei mostra che le autorità hanno costruito la loro versione in base a dichiarazioni estorte sotto tortura. Una prassi corrente, in Messico. Dal 2007 a oggi, la Procura generale ha registrato oltre 370 casi, la maggior parte dei quali per responsabilità di militari e polizia federale. E proprio su polizia e militari puntano le accuse del Giei, che denuncia omissioni e depistaggi da parte delle autorità. Quasi l’80% dei detenuti per i fatti di Iguala presenta segni di tortura, e le perizie mediche non sono state compiute secondo i protocolli previsti.

I 43 studenti sono spariti dopo essere stati arrestati dalla polizia di Iguala, nello stato di Guerrero, che li aveva fermati per aver sequestrato autobus municipali (una forma di protesta frequente). Prima, gli studenti erano stati attaccati a colpi di arma da fuoco, e il saldo era stato di sei morti e almeno 25 feriti. E qui, basandosi su molte testimonianze, gli esperti ipotizzano la presenza di un quinto autobus, forse carico di droga diretta negli Usa, o di grosse quantità di denaro sporco, mai preso in considerazione.
Durante tutti questi mesi, il Giei ha chiesto di approfondire questa ipotesi, ma ha incontrato un muro di silenzi o di omissioni: delle oltre 900 richieste rivolte al governo, solo un 50% ha trovato ascolto.

Eppure, le evidenze prodotte dalla contro-inchiesta indipendente non sono di poco conto. Fra le più clamorose, quella di alcuni cellulari degli studenti, che sarebbero stati bruciati insieme ai loro corpi e che invece hanno continuato a funzionare per molto tempo dopo la loro presunta uccisione nella discarica pubblica. Un ragazzo ha telefonato alla madre chiedendole di fargli una ricarica, altri cellulari sono rimasti attivi e tracciabili. Una delle ipotesi sollevata subito dai familiari e dai movimenti è stata quella che i ragazzi fossero stati portati in qualche caserma militare, dove esistono luoghi di tortura e, secondo alcune testimonianze, anche veri e propri forni crematori.

Gli esperti hanno raccolto prove inconfutabili della presenza della polizia statale del Guerrero, di quella federale e del battaglione 27 dell’Esercito prima della scomparsa dei 43 e durante gli attacchi ad altri studenti che partecipavano alla protesta. Secondo il rapporto, un agente federale è stato in contatto con il capo della polizia di Iguala, Felipe Flores Velazquez, a tutt’oggi ricercato. Il governo messicano ha però negato ogni collaborazione, né ha acconsentito a prolungare la permanenza della commissione per approfondire le indagini per altri sei mesi. Gli esperti lamentano anche il costante discredito nei confronti del loro lavoro.

I familiari degli scomparsi hanno indetto per oggi una manifestazione. Hanno ringraziato gli esperti indipendenti e hanno accusato il governo di continuare a mentire per occultare un crimine di stato. «Assassino», hanno lanciato all’indirizzo del presidente Henrique Pena Nieto, quando ha annunciato la volontà del suo governo di raccogliere gli indirizzi dell’informativa. Secondo cifre ufficiale, dal 2007 alla fine dell’anno scorso, il Messico conta un totale di 27.659 scomparsi. Tuttavia, la legge sulle Sparizioni forzate, in discussione da oltre un anno, non arriva a buon fine.

Ieri, decine di migliaia di persone hanno manifestato nella capitale messicana e in altre quaranta città del paese per protestare contro la violenza domestica e culturale contro le donne, con lo slogan «Le vogliamo vive» e «Ci vogliamo vive». Importante la marcia di Guadalajara, capitale dello stato di Jalisco dove, negli ultimi tre anni, ci sono stati 111 femminicidi, 1.612 denunce di stupro, mentre nel 2015 sono state presentate 8.482 denunce di violenza domestica contro donne. In Messico, ogni giorno vengono uccise 6 donne.