Il giorno è arrivato, Andres Manuel Lopez Obrador assume oggi l’incarico di presidente del Messico. Dopo due elezioni letteralmente scippate, al terzo tentativo il leader di Morena (Movimento di rigenerazione nazionale) ha vinto e pronuncerà oggi la “protesta” – curioso messicanismo che vale promettere, giurare, ma senza il minimo significato religioso, eredità anticlericale dei rivoluzionari vittoriosi di inizio Novecento. Per arrivare alla residenza presidenziale di Los Pinos – che non userà come ufficio – Obrador ha dovuto battere molti primati: il più votato, nelle elezioni più partecipate, il solo esplicitamente di sinistra…

La promessa di Amlo è quella di cambiare radicalmente il Messico, lotta alla povertà e guerra alla corruzione sono le frecce principali nell’arco del neopresidente. Populista, è l’accusa consueta. Certamente la rabbia diffusa verso un potere sfacciato e profondamente inquinato ha giocato a suo favore. Quanto il vento possa cambiare, si potrà forse valutare da subito, con quella carovana dei migranti da giorni arenata a Tijuana, dove alcune donne hanno iniziato uno sciopero della fame.

Da presidente in pectore, Obrador aveva lasciato la patata bollente al condiscenente Peña Nieto, da oggi non potrà più permetterselo. L’ultimo atto del suo predecessore è stata la firma del trattato commerciale tra Messico, Stati uniti e Canada che sostituisce il Nafta, entrato in vigore in quel drammatico 1994 che vide il crollo del peso messicano, il dilagare di una crisi economica mondiale e l’arrivo contemporaneo dell’Esercito zapatista sulle montagne del Chiapas – solo il petrolio nazionalizzato negli anni Trenta salvò il paese dalla bancarotta, quello stesso petrolio che oggi una legge del governo uscente ha reso di nuovo privatizzabile, e sulla quale Obrador deve spendere le prime parole ufficiali. Anche se il primo atto da presidente potrebbe essere la redazione di una “nuova costituzione morale” concordata con la popolazione, una sorta di binario politicamente (anche se non legalmente) vincolante per il governo che sta per nascere.

E che nasce con le prime difficoltà: lo scrittore Paco Taibo II rischia il posto governativo di capo del Fondo de cultura economica (in pratica il ramo del governo che finanzia la cultura) per aver criticato gli avversari con un rotondo e goliardico “li abbiamo inchiappettati doppiamente”. Il riferimento è al tentativo di tenerlo fuori dal governo perché non messicano di nascita (è spagnolo, la famiglia fuggì per scampare a Franco): dopo la vittoria, Obrador ha promesso una legge ad hoc per imbarcarlo nell’esecutivo. Critiche di machismo e anti-femminismo anche da sinistra, scuse dello scrittore, situazione ancora sotto esame. Insomma, si comincia.