Oltre 20 città degli Stati uniti hanno aderito alla “giornata di protesta contro la visita di Peña Nieto negli Stati uniti”, organizzando manifestazioni e sit-in nei pressi di ambasciate e consolati. Numerose organizzazioni sociali hanno amplificato in rete la protesta, in solidarietà ai 43 studenti normalistas, scomparsi in Messico tra il 26 e il 27 settembre. Tra queste, Sos Warch, Messicani senza frontiere e Ustired2, che sta per “anche gli Stati uniti sono stanchi”. Una frase che rimbalza nelle piazze e sul web da quando il Procuratore generale messicano l’ha pronunciata in risposta ai giornalisti che lo incalzavano durante una conferenza stampa («adesso mi avete scancato»). A New York, la polizia ha duramente represso le proteste, impedendo ai manifestanti di consegnare alle autorità Usa documenti e informative sul massacro di Iguala (6 ragazzi uccisi dall’attacco congiunto di polizia e narcotrafficanti, oltre una ventina di feriti e 43 studenti scomparsi).

In occasione della visita del presidente Peña Nieto – oggetto delle proteste dei normalistas per i suoi programmi neoliberisti che hanno fortemente messo in causa i diritti dei più deboli – gli attivisti messicani residenti negli Stati uniti hanno già inviato al Congresso due petizioni in cui chiedono a Obama di affrontare la questione dei diritti umani nei colloqui iniziati lunedì scorso: «Consideriamo molto preoccupante che si continui a sostenere con i soldi delle nostre tasse un governo che viola i diritti umani e che non rende conto alla popolazione», scrivono. E si appellano all’emendamento Leahy, che proibisce l’invio di fondi a forze straniere che calpestano i diritti umani.

Anche l’organizzazione Human Rights Watch ha appoggiato le lettere di protesta e si è rivolta alle senatrici democratiche della California, Barbara Boxer e Dianne Feinstein, per chiedere la sospensione degli aiuti militari al Messico da parte degli Stati uniti. L’Ong ha chiesto urgentemente un incontro e anche un’udienza pubblica al Senato e ha snocciolato le cifre del preoccupante aumento della violenza e dell’impunità: «Nei due anni di amministrazione di Enrique Peña Nieto, secondo i dati ufficiali, oltre 40.000 messicani sono stati assassinati e circa 10.000 risultano scomparsi, inclusi i 43 giovani studenti normalistas di Ayotzinapa». Si valuta che nell’ultimo decennio siano state assassinate e fatte scomparire in Messico circa 80.000 persone. Gran parte delle vittime sono donne, prevalentemente giovani o migranti centroamericani in transito dal Messico agli Usa con la speranza di passare la frontiera, indigeni, lavoratori e anche studenti e giornalisti (il Messico è il paese più pericoloso per i cronisti). Tra le donne uccise, si contano molte vittime di aggressioni sessuali. Poi ci sono i narcotrafficanti, giovani senza futuro che finiscono al soldo delle bande, potentemente innervate al sistema politico messicano.

All’interno di questa criminalità quotidiana in cui compare la complicità o l’assenza dello stato, restano nella memoria dei messicani le date dei massacri compiuti da polizia e militari ogni volta che alcune grandi manifestazioni popolari hanno espresso la domanda di un cambiamento strutturale: Tlatelolco (1968), Aguas Blancas (1995), Acteal (1997) e Atenco (2006). E nel 2014, Iguala.
Eventi «tragici», li ha definiti Barack Obama, promettendo di aiutare il Messico a «debellare il flagello della violenza» e apprezzando i «piani di riforma» proposti dal suo omologo messicano. Piani già bocciati dalle piazze, che hanno sempre al centro la stessa dinamica repressiva e la stessa logica contro cui in questi giorni sono scesi in piazza gli infermieri. «Vivi li hanno presi e vivi li vogliamo!», gridavano i manifestanti tenuti lontani dalla Casa Bianca.

Le organizzazioni per i diritti umani, in Messico, chiedono che si indaghi sull’esercito e che si cerchino gli studenti nelle caserme. In una fossa comune di Cocula sono stati identificati i resti di uno dei 43 studenti, ma i famigliari avanzano dubbi che siano stati effettivamente recuperati in quel luogo. Secondo la magistratura, lì sarebbero stati bruciati dai narcotrafficanti. Intanto, la polizia comunitaria continua a scavare e ad accompagnare le famiglie a ispezionare le caserme dei dintorni. E per sabato, famigliari e collettivi hanno indetto una nuova giornata di mobilitazione, sia in Messico che a livello internazionale.