«Neanche nei peggiori anni delle dittature militari» il Messico ha subìto un atto di ostilità pari a quello in corso nella Bolivia post-golpe contro la sua ambasciata a La Paz.

Lo dice il ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard, accompagnando l’accusa contro il governo dell’autoproclamata Jeanine Añez con un annuncio ancora più pesante: che, cioè, il Messico denuncerà il governo de facto boliviano presso la Corte penale internazionale «per violazione degli obblighi diplomatici» previsti dalla Convenzione di Vienna. Un passo tanto più rilevante, ha chiarito Ebrard, in quanto compiuto ben poche volte nella storia del suo paese.

A scatenare la dura reazione del Messico, pur seguita giovedì dalla sua richiesta di un canale diretto di dialogo con il governo boliviano, è stata l’ingente presenza di forze di sicurezza e di intelligence nei pressi della sua ambasciata a La Paz, dove si incontrano al momento nove dirigenti del Movimiento al Socialismo che hanno sollecitato asilo politico, quattro dei quali raggiunti da un ordine di cattura per sedizione e terrorismo, tra cui Juan Ramón Quintana, ex ministro della Presidenza e una delle persone più vicine a Morales, e Wilma Alanoca, ex ministra della Cultura e del turismo.

Nessun dubbio, secondo Ebrard, che si tratti di un assedio o, come lo ha definito il presidente Andrés Manuel López Obrador, di un chiaro «tentativo di intimidazione»: al posto dei sei poliziotti normalmente di guardia all’ambasciata, a partire dal 23 dicembre sono giunti sul luogo «90 elementi non sollecitati» tra poliziotti e militari, impegnati a vigilare giorno e notte e a scattare fotografie, con l’aggiunta di droni a sorvolare tanto la sede diplomatica quanto la residenza dell’ambasciatrice Teresa Mercado.

In risposta, la ministra degli Esteri boliviana Karen Longaric, ha riversato sul governo messicano una pioggia di accuse: di aver diffamato lo stato boliviano parlando di un – a suo giudizio – inesistente golpe, di aver permesso a Morales di fare dichiarazioni «destabilizzanti», di rifiutarsi «categoricamente di consegnare» le persone ricercate e di ribadire «la decisione di concedere loro asilo in un’evidente sfida alla giurisdizione boliviana» e persino di aver distorto la realtà rispetto alle misure di sicurezza adottate nei confronti dell’ambasciata. Ma non è stata l’unica a fare la voce grossa: «Non ci lasceremo intimidire», ha dichiarato il capo della polizia di La Paz Julio Cordero, assicurando che i poliziotti resteranno «sul posto per compiere gli ordini di detenzione» emessi dall’autorità giudiziaria.

Una minaccia che si inscrive nel quadro di quella persecuzione contro membri del Mas ed ex ministri che, in mezzo ai proclami di pacificazione, non è mai cessata dall’inizio del colpo di stato. Né è stato da meno il ministro dell’Interno Arturo Murillo: «Minacciano di portarci dinanzi alla Corte penale internazionale. Ci andremo assai volentieri e allora vedremo chi ha violato la Convenzione di Vienna».