In Messico, si è votato domenica per le elezioni di medio termine: per rinnovare i 500 deputati alla Camera, i governatori in 9 stati del paese e oltre 1.200 cariche statali e municipali. Domani, i risultati definitivi. Secondo i dati forniti dall’Istituto Nacional Electoral, si confermano le previsioni dei sondaggi:il Partido Revolucionario Institucional (Pri), il partito del presidente Peña Nieto risulta vincitore e punta alla maggioranza assoluta grazie all’appoggio del Pvem e di Nueva Alianza. Al terzo posto, il Partido de la Revolucion Democratica (Prd).

Morena, la nuova formazione di Lopez Obrador, l’ex candidato che ha rappresentato le sinistre alle presidenziali contro Peña Nieto, si impone come quarta forza, mentre Movimiento Ciudadano dovrebbe ottenere tra 24 e 29 seggi. Secondo l’Ine, la partecipazione è stata tra il 47, 25% e il 48,51%. L’astensione è stata di circa 56%. Su scala locale, il Pri ha vinto negli stati di Campeche, Sonora, Colima, San Luis Potosi e Guerrero. Il Pan ha conquistato le governazioni di Baja California e Queretaro. Il Prd ha vinto nel Michoacan e l’indipendente Jaime Rodriguez si è imposto nel Nuevo Leon.

Elezioni caratterizzate da numerosi ammazzamenti per narcopolitica e da proteste e scontri: soprattutto per ricordare la scomparsa dei 43 studenti della Scuola rurale di Ayotzinapa, a settembre scorso. Oltre 100 persone sono state arrestate, soprattutto negli stati più poveri del sud come Guerrero (dove sono accaduti i fatti di Iguala) e Oaxaca. Famigliari degli studenti, movimenti sociali e sindacali, hanno animato le proteste per chiedere di conoscere la sorte dei ragazzi, consegnati dalla polizia ai narcotrafficanti e – secondo la versione ufficiale – bruciati in una discarica. I manifestanti hanno bruciato le schede in un centinaio di seggi, hanno organizzato marce e incendiato veicoli. In precedenza avevano invitato al boicottaggio: in uno stato in cui non esistono diritti e garanzie istituzionali – hanno sostenuto i movimenti – ogni elezione è una truffa e chi si presenta offre la foglia di fico per perpetrare un sistema che richiede un cambiamento strutturale e non palliativi.

E così è stata fortemente contestata anche la leader maya del Guatemala, Rigoberta Menchu, venuta per invitare i movimenti al voto: è stata pagata dal sistema, ha denunciato una ragazza salendo sul palco, e cerca di avallare la versione dello stato sulla scomparsa dei 43 studenti. I sindacati dei maestri, in agitazione permanente, esigono che il governo di Peña Nieto cancelli la contestata riforma educativa di segno neoliberista come il resto del suo vasto piano di riforme inaugurato dall’inizio del suo mandato. Chiedono anche che cessi la repressione e la militarizzazione del territorio, in cui imperversano sia le bande armate dei narcos, sia i «consulenti» Usa di forze armate e polizia locale. Torture, omicidi, femminicidi e scomparsi sono moneta corrente in uno dei paesi più criminogeni al mondo.

A Tixtla, un municipio contadino del Guerrero in cui si trova la scuola di Ayotzinapa frequentata dai 43 scomparsi, le elezioni sono state sospese perché familiari e maestri hanno bruciato le urne e si sono scontrati con quelli che volevano andare a votare. «Non sono morti, non sono morti, i compagni», gridavano i manifestanti. A Tlapa, altro municipio a maggioranza indigena e contadina, ci sono stati scontri e marce, in un contesto altamente militarizzato. A Oaxaca, dove il movimento dei maestri è forte, sono state bruciate le schede e sottratte alcune urne. La città era controllata a terra e nel cielo da migliaia di poliziotti in assetto antisommossa e da militari, inviati in forze anche nel Guerrero, nel Michoacan e nel Chiapas per neutralizzare le proteste. Per l’occasione, lo spiegamento repressivo è stato fra i più imponenti mai registrati dall’inizio della cosiddetta lotta al narcotraffico, alla fine del 2006.