Domani, in Messico, «giornata di azione globale per Ayotzinapa». Lo hanno deciso gli studenti dopo una riunione interuniversitaria che si è tenuta nell’auditorium Che Guevara della facoltà di Lettere e filosofie dell’Università nazionale autonoma del Messico (Unam). Una giornata di mobilitazione per ritrovare i 43 studenti scomparsi dal 26 settembre scorso dopo una feroce repressione congiunta tra polizia e narcotrafficanti.

Un caso che sta scuotendo il paese e che ha rivelato al mondo quel che la sinistra e i movimenti denunciano da tempo: il perverso intreccio tra mafia e politica che ha guidato e guida le politiche neoliberiste dei governi messicani. Domani, i giovani marceranno nelle strade della capitale dello stato di Guerrero (nel sud-est, dove si sono verificati i fatti), ma intanto, si sta discutendo uno sciopero generale di 48 ore a partire da domani. Per il 23 ottobre sono state decise anche diverse altre azioni di protesta in tutto il Messico: per chiedere le dimissioni di tutte le autorità di Guerrero e quelle del presidente Enrique Peña Nieto.

Un crescendo di proteste che sta avendo un’eco sempre più ampia a livello internazionale, sia per le ripetute manifestazioni di sostegno, sia per le iniziative sulle reti sociali. La settimana scorsa, migliaia di studenti hanno manifestato a Città del Messico davanti alla sede della Procura generale della repubblica: per esigere la ricomparsa dei 43 giovani della Normale di Ayotzinapa (detti appunto «normalistas»). Studenti con basso reddito, iscritti a una rete di istituti tradizionalmente molto combattivi e per questo costantemente demonizzati e più volte ferocemente repressi.

Il 26 settembre, alcuni pullman di «normalistas» erano nella zona di Iguala, nel Guerrero, per manifestare contro la privatizzazione della scuola pubblica e per raccogliere fondi destinati a una marcia di commemorazione di un’altra strage di studenti che marciavano in solidarietà ai giovani sessantottini. L’assalto congiunto di polizia e narcotrafficanti della banda dei Guerreros Unidos ha però provocato la morte di sei persone (una delle quali con evidenti segni di tortura), e 17 feriti.

In quell’occasione, scomparvero 58 studenti, 15 dei quali vennero poi ritrovati (uno di loro, cadavere). Gli altri 43 risultano però ancora desaparecidos e le speranze di ritrovarle in vita sono minime. La confessione di alcuni narcotrafficanti arrestati dopo i fatti ha consentito di ritrovare diverse fosse comuni contenenti cadaveri carbonizzati. Secondo i risultati degli antropologi forensi non vi sono i resti degli studenti, ma in base alle testimonianze e alle telecamere risulta che la polizia ha consegnato un gruppo di 17 studenti ai Guerreros Unidos, i quali li hanno uccisi e bruciati.

Fin’ora sono stati arrestati 36 agenti della polizia municipale e 17 membri del gruppo criminale, il sindaco della città di Iguala, colluso con le mafie, è in fuga. Per ora rimane però in sella il governatore dello stato, Angel Aguirre, un noto repressore, che ha anche ammesso di essere stato al corrente dei fatti mentre accadevano, ma di non essere riuscito a «mettersi in comunicazione» col sindaco.

Gli avvenimenti di Iguala smentiscono crudelmente le affermazioni di Peña Nieto, secondo il quale il potere dei cartelli del narcotraffico sarebbe diminuito. Durante i primi 20 mesi della sua gestione, quasi 30.000 persone sono state assassinate. Venerdì scorso, un nome noto su twitter, l’attivista Maria del Rosario Fuentes Rubio è stata sequestrata, torturata e assassinata. Stessa sorte potrebbe aver subito il giornalista messicano Jesus Antonio Gamboa Urias, scomparso dopo aver denunciato casi di corruzione nello stato di Sinaloa, qualche ora prima che fosse assassinato un leader comunitario e speaker radiofonico nella stessa regione.

Anche le recenti dichiarazioni di padre Alejandro Solalinde, un sacerdote noto per il suo impegno nel campo dei diritti umani, e che ha riferito il racconto di alcuni testimoni, lasciano poco spazio alla speranza di ritrovare in vita i 43 ragazzi: «Sono stati bruciati vivi, benché fossero feriti – ha detto Solalinde proteggendo però la sua fonte – c’è gente che sa tutto e che presto potrebbe uscire allo scoperto e raccontare la verità».