Non uno spin-off di Narcos, sulle «gesta» di Pablo Escobar, Narcos Messico fa un salto indietro nel tempo per raccontare le origini del narcotraffico panamericano, nei ’70, spostandosi verso il cuore dello smistamento dell’hashish prima e della più redditizia coca poco dopo: il Messico. Una narrazione che – rispetto alle tre stagioni dedicate a Escobar che mantenevano una fedeltà storica – spesso sorvola sulla veridicità della cronaca per inventarsi una realtà «parallela», ma assolutamente plausibile. Due figure si contrappongono, l’agente della Dea Kiki Camarena (Michael Peña) e Miguel Ángel Felix Gallardo (Diego Luna) ex poliziotto che passa dall’altra parte della barricata arrivando a formare la prima coalizione del narcotraffico messicano. Regia attenta, fotografia calda immersa nei panorami messicani, la serie gioca con molta attenzione sulle psicologie dei singoli personaggi indagando sul confine labile tra bene e male, su come la corruzione del potere non faccia distinzioni a prescindere dalla parte in cui si milita, tra poliziotti sensibili solo al fruscio dei dollari e politici senza un briciolo di coscienza. Prodotto da Gaumont Television per Netflix, Eric Newman è sceneggiatore e produttore esecutivo.