La guerra del Mes è stata ufficialmente dichiarata ed è una guerra vera, non una scaramuccia. Probabilmente, per istinto di sopravvivenza, non travolgerà il governo ma lascerà sul campo morti e feriti e nel corpo della maggioranza lacerazioni difficilmente rimarginabili. Sono scesi in campo i pezzi da 90: prima il segretario del Pd Nicola Zingaretti, poi, a muso duro, il reggente dei 5Stelle Vito Crimi. Entrambi ultimativi.

Entrambi molto vicini al muro contro muro. «Non possiamo permetterci ancora di tergiversare», aveva attaccato con una lettera al Corriere della Sera il segretario del Pd, elencando le 10 ragioni per cui il prestito va chiesto senza se e soprattutto senza poi. «Non è uno strumento idoneo e restiamo contrari. Se debito deve essere, allora meglio che avvenga attraverso lo scostamento di bilancio», replica nel pomeriggio il reggente, altrettanto tassativo.

Nel frattempo il viceministro Stefano Buffagni aveva già da ore aperto le danze con una chiusura drastica, «La posizione del M5S non cambia». Il Pd aveva commentato con termini grevi: «Siete miopi e ideologici». I governatori del Pd avevano reclamato in coro quei fondi: «Ci servono per la sanità». Un plotone di pentastellati aveva bombardato le agenzie per dare man forte a Buffagni. La destra favorevole al Mes, Forza Italia, e quella contraria, la Lega, si erano trovate concordi nel fregarsi le mani di fronte a una lacerazione mai prima tanto profonda ed esplicita.

Si dice Mes ma non si parla solo della nuova linea di credito del Fondo Salvastati. Quella c’entra davvero e non solo come casus belli. Perché quei soldi servono come il pane ma anche per questioni di diplomazia politica più complessiva. Angela Merkel, si sa, mira a fare del semestre di presidenza tedesca dell’Unione europea l’occasione per rifondare la stessa Ue. Ha messo nel conto una serie di conflitti che potrebbero diventare anche aspri con i Paesi “frugali” ma per questo, come ha fatto ampiamente capire la cancelliera nell’intervista della settimana scorsa suonata come una intromissione nelle scelte italiane, ha bisogno di avere le spalle coperte dall’accesso dell’Italia al prestito del Mes.

Ma a spiegare l’irrigidimento di Nicola Zingaretti, la scelta di bruciarsi i ponti alle spalle come ha fatto ieri, valgono anche considerazioni più terragne. La sensazione che Giuseppe Conte stia cedendo sempre più spesso ai diktat del Movimento 5 Stelle, a partire dallo slittamento delle modifiche ai decreti Sicurezza, sino a far apparire il Pd come il vero “portatore d’acqua”. I sondaggi che danno i 5S in rapida risalita e ormai ad appena due punti di distanza da un Pd invece esangue.

Il timore che un esito 4 a 2 delle elezioni regionali di settembre porti alla sbarra proprio il segretario dem, che verrebbe a quel punto accusato anche di eccessiva cedevolezza ai 5 Stelle.
In questo ginepraio la tattica di Conte è quella di sempre: rinviare. Ieri, mentre tra i partiti della sua maggioranza volavano stracci e sassi, non ha detto una parola, nonostante le insistenze dei pentastellati che hanno accolto il silenzio come segnale di una possibile volontà di cedimento, se non ora in settembre. In effetti per il premier la prima urgenza è proprio rinviare ogni voto del parlamento all’autunno. Perché a quel punto, forse, l’Italia non sarà più il solo Paese a dover chiedere il prestito, e questo basterebbe a fare la differenza, e perché un voto sul pacchetto Recovery Plan-accesso al Mes sarebbe, almeno negli auspici di palazzo Chigi, meno proibitivo.

Dunque la risoluzione che verrà portata in parlamento prima del vertice del Consiglio europeo del 17 luglio non citerà il Mes neppure alla lontanissima.

Non è detto che basti. È praticamente certo che Emma Bonino tenterà nuovamente di presentare la mozione a favore del prestito che le è stata negata prima dell’ultimo vertice del Consiglio, con la scusa risibile che si trattava di un «vertice informale». Non è detto che sia possibile, in punta di regolamento, vietare un voto che implicherebbe la spaccatura della maggioranza, ma di sicuro Conte farà di tutto per raggiungere quell’obiettivo.

Non è il solo ostacolo però. Dietro l’angolo c’è il voto sullo scostamento di bilancio, per il quale è richiesta la maggioranza assoluta. Al Senato ancora c’è ma di misura e verrebbe meno se di qui a quel voto uscissero, come pare quasi certo, altri senatori dal gruppo pentastellato. Sin qui Forza Italia ha garantito comunque la maggioranza assoluta ma ieri il coro azzurro ha avvertito che d’ora in poi non sarà più così. Il salvagente azzurro arriverà solo sulla base di precisi accordi. Tra i quali, per Forza Italia, dovrebbe figurare appunto il Mes.