Il ministro Gualtieri riferisce sulla riforma del Mes di fronte alle commissioni Finanze e Politiche europee del Senato ma è alla Camera che, quando arriva l’eco delle parole del ministro, è quasi rissa. A scaldare gli animi non è la difesa a spada tratta della riforma: la tesi di Gualtieri, che aveva partecipato ai lavori in veste di presidente della commissione economica dell’europarlamento, era già nota sin nei particolari. Il nuovo Mes non modifica in nulla la dinamica del salvastati se non nell’aumento dei fondi a disposizione, il che per l’Italia è un bene. Gualtieri considera l’allarme generale assurdo, trattandosi, assicura, di modifiche limitate e casomai migliorative.

La bomba non riguarda il merito ma il metodo. Il trattato, afferma neppure troppo fra le righe il ministro, è inemendabile. Prendere o lasciare, ma lasciare non si può: «Si darebbe un segnale errato di fragilità del Paese». Tradotto: la speculazione morderebbe fino all’osso. Aveva dunque ragione Salvini nel dire che Conte aveva firmato senza passare per il Parlamento? Assolutamente no! «Conte è stato corretto perché a giugno non è stata presa nessuna determinazione definitiva e non ci sarà finché non verrà apposta la firma in febbraio». Solo che «se chiedete se è possibile riaprire il negoziato rispondo che secondo me no: il testo del Trattato è chiuso e così lo considerano tutti gli altri Paesi». Conte, insomma, ha sì concordato una riforma inemendabile, però non la ha firmata, dunque non gli si può rinfacciare niente.

Sono queste parole che, quando rimbalzano a Montecitorio, accendono la miccia. La destra insorge. Lega e FdI intonano il coro «Venduti». Giorgia Meloni passa ai toni splatter: «Conte ha pagato le sue cambiali alla Germania col sangue degli italiani». Borghi, per la Lega, minaccia il tribunale: «Conte ha di fatto approvato un testo inemendabile senza informare il parlamento e questa è infedeltà in affari di Stato. O riferisce subito o lo porteremo in tribunale». Il Pd De Luca replica accusando la Lega di aver accettato in giugno la riforma ed è a quel punto che i cazzotti virtuali rischiando di diventare concreti e contundenti. Salva la situazione in extremis il presidente Fico, sospendendo la seduta.

Ma l’incidente non è certo chiuso. Formalmente Gualtieri ha ragione: Conte non ha firmato niente. Ma l’intenzione di aggirare il parlamento è palese e la scelta di affrontare le camere solo il 10 dicembre, nell’ultimo giorno utile, anzi inutile, dice tutto in materia. Tra l’incudine e il martello stanno, com’è ormai prassi, i 5S. Alla rissa non hanno partecipato: avrebbero dovuto prendere posizione. Compito ingrato, delegato alla riunione notturna dei gruppi. Gualtieri è ottimista: «Di Maio è una persona di valore. Sono fiducioso». La maggioranza dei parlamentari è contraria a una riforma bocciata dal Movimento sin dall’inizio e di fatto trattata da Conte, come tutta la «svolta» europeista dei 5S, privatamente, senza chiedere il parere degli svoltanti.

Quella sterzata decisa dal premier in giugno mostra ora la corda anche a Strasburgo. Al momento di votare per von der Leyen i 5S si sono divisi: 10 a favore, 2 contrari, 2 astenuti. Uno dei contrari, Pedicini, svela il gioco segnalando che l’intero comparto dei rapporti con la Ue è in mano al Pd. Del resto era questa la sola discontinuità che interessasse al Nazareno. Ma bocciare il trattato vorrebbe dire far cadere il governo e i 5S si ritrovano sulla graticola.