Da una parte i tempi accelerati della crisi, dall’altra quelli al ralenti dell’Europa. Oggi Conte si collegherà in videoconferenza con gli altri 26 capi di Stato della Ue già sapendo che porterà a casa solo una dichiarazione politica di massima sulla necessità di dar vita al Recovery Fund. E anche sulla dichiarazione che verrà letta alla fine dai presidenti del Consiglio europeo Michel e della Commissione von der Leyen ci sarà da trattare sulle virgole. Non è precisamente quello che ci si aspetterebbe a fronte di una tempesta che ha spazzato l’intera Europa e flagellato in particolare i Paesi del Sud. Non è la reazione con cui ha risposto il resto del mondo, dagli Usa alla Cina al Giappone.

PIÙ DI QUESTO la videoconferenza di lunedì scorso tra i premier di Italia, Spagna, Francia, Olanda e Germania non è riuscita a concludere, e date le premesse è già un risultato consolante: il Consiglio affiderà alla presidente il compito di avanzare, il 29 aprile, una proposta. Poi le trattative arriveranno almeno sino a giugno. Non significa che il Piano partirà davvero prima dell’estate ma solo che si saprà almeno di cosa si parla. I tempi tecnici per procedere richiederanno, salvo scelte diversamente drastiche, altri mesi.

PER PRIMA COSA I 27 daranno il via libera alla proposta «a tre gambe» dell’Eurogruppo: i prestiti della Bei, del Sure e del Mes. Neppure qui il terreno è del tutto sgombro. Alla Finlandia le condizioni del Fondo Sure per le Casse integrazione, peraltro esiguo, sembrano troppo permissive, dal momento che se uno Stato non versa le garanzie necessarie dovrebbero supplire gli altri. I Paesi nordici si sono accodati di corsa chiedendo «un approfondimento». Nessuna ombra invece sul capitolo Mes ma quella, per Conte, è una voce che comporta solo grossi guai. Il sì dell’Italia non è mai stato in discussione. I problemi arriveranno quando si tratterà di decidere se chiedere o no il prestito.

SUL RECOVERY FUND c’è un’intesa generale sul titolo. Quanto alla sostanza invece è nebbia fitta. Gli Stati europei sono divisi sulle dimensioni del fondo, che vanno da un minimo di 700 miliardi, assolutamente insufficiente, al tetto di 1500, considerati necessari, sino all’ultimo euro, da Italia e Spagna. I 27 sono pronti ad azzuffarsi sul passaggio più delicato, il finanziamento del Recovery, che i frugali vogliono sia messo almeno in parte a debito e non a fondo perduto. Il ministro austriaco delle Finanze Blumel è più brutale che semplicemente esplicito: «Questi fondi andranno rimborsati. Non ci assumeremo il debito di altri Stati».

Le secche che rischiano di rallentare a dismisura i tempi del progetto sono però essenzialmente sul versante dell’integrazione tra il Recovery e il bilancio Ue 2021-2027, sul quale si parte da un disaccordo già certificato. Sarà certamente necessario emettere bond e a farlo sarà la Commissione. Questa dovrebbe però aspettare il varo del bilancio, che andrebbe anche portato dall’attuale 1,2 al 2% del reddito europeo. Anche al netto dei dissensi che hanno sin qui paralizzato tutto, i tempi tecnici sarebbero biblici. La via per velocizzare la pratica passa per garanzie immediate dei singoli Stati, ma è un capitolo ostico e ancora tutto da affrontare.

SI PARLERÀ ANCHE di eurobond, naturalmente, perché Italia, Francia e Spagna sono decise a insistere sulla richiesta di titoli europei. Saranno però, salvo miracolosi eventi, solo parole. La resistenza dei nordici e in particolare della Germania non sembra aggirabile. Conte, dunque, tornerà con un passetto avanti sulla strada del Fondo comune ma senza alcuna garanzia sui punti essenziali per l’Italia: la tempistica, che per un Paese che rischia recessione e deficit a due cifre è tutto, e soprattutto l’impatto dei costi sulla crisi sul debito, che rischia di arrivare al tetto vertiginoso del 160% del Pil.

L’àncora di salvezza, per ora, resta la Bce. La Banca si prepara a superare uno dei suoi principali dogmi: il divieto di acquisto di titoli al confine con la spazzatura, al di sotto del livello BBB. Domani arriverà il verdetto dell’agenzia di rating S&P, l’8 maggio si esprimeranno Moody’s e Dbrs, l’unica che collochi i titoli italiani tre e non solo due gradini sopra la pattumiera. Il rischio di un downgrade che porterebbe l’Italia a BB c’è ed è proprio per parare quel possibile colpo micidiale che la Bce intende dotarsi della possibilità di acquistare anche titoli declassati, subito sui collaterali e in un secondo tempo anche nel Quantitative Easing.