Il nuovo regolamento del Mes è nuovo a metà.

È nuovo per le banche: crea una nuova linea di credito, potranno accedervi i paesi quando i loro fondi per le risoluzioni bancarie non fossero sufficienti. Si tratta, quindi, di un paracadute (si parla di 70 miliardi) utile a tutti i paesi per tamponare le insolvenze bancarie che si prevede il Covid lascerà.

Non è nuovo per i singoli Stati ed i loro debiti. I paesi usciranno dal Covid molto più indebitati e con una maggiore probabilità di dover ricorrere all’aiuto del Mes. Perciò quando, superata l’emergenza, sarà cancellata la sospensione dei Trattati, la morsa si farà stringente come prima.

Il regolamento prevede, infatti, due linee di credito: – precauzionale per shock imprevisti nei paesi con finanza sana (quindi che stanno dentro i parametri di debito e deficit); – rafforzata per i paesi meno “virtuosi”. In questo secondo caso scatterà il memorandum che prevede la ristrutturazione del debito o abbassando le cedole o rinviando scadenze e rimborsi.

Per l’Italia le due linee si riducono ad una: la seconda.

Da questa consapevolezza la proposta “azzardata” di Sassoli e quella più “moderata” di Gentiloni che pensa ad una gradualità nel ripristino dei Trattati. In ogni caso uno scenario delicato ed impegnativo che non si può affrontare con semplicismo trasformando il voto in un si o no all’Europa.

È vero che le scelte di emergenza fatte dalla Ue (finanziamenti a fondo perduto e prestiti agevolati) rappresentano una svolta, ma ignorare la realtà che dovremo affrontare nei prossimi anni non mi sembra un bel modo di fare politica.

Si può pure votare questo regolamento, per evitare oggi lo stigma, rinviandolo di due o tre anni, ma ci si dovrebbe impegnare a svolgere un ruolo attivo su due terreni.

Primo: proseguire la discussione aperta da Sassoli oggi – e già da tempo da tanti economisti – sul ruolo della Banca europea, la sua funzione di banca centrale, la condivisione e neutralizzazione dei debiti…

Secondo: impegnarsi per modificare i parametri sui quali si impostano le politiche europee perché il nuovo regolamento è frutto di logiche di interesse nazionali e di culture economiche superate. È inutile vestirsi di verde nei giorni di festa per predicare sostenibilità ambientale, digitalizzazione, sostenibilità sociale, se poi, quando fissiamo le regole comuni, continuiamo a valutare tutto solo in base al Pil.

Se la valutazione dello stato di un paese si continua a fare in base alla crescita del Pil, se la sostenibilità della spesa pubblica si continua a fare in base al rapporto debito/Pil, se si prende in considerazione solo il debito pubblico senza considerare quello privato ed il risparmio delle famiglie, se non si prendono in considerazione la ricchezza ed il valore del patrimonio ambientale, storico, culturale e la qualità della vita resteremo prigionieri della cultura contabile di Quintino Sella e di quella monetaria dell’austerità che ha paralizzato lo sviluppo delle nostre società.

L’approvazione del nuovo regolamento dovrebbe diventare occasione per cambiare politica e rivedere quei parametri. Certo si tratta di avviare un processo che avrà i suoi tempi.

Ma c’è qualcosa che si può avviare subito. Si stanno predisponendo i progetti per le Nuove Generazioni Europee. Si potrebbe parlare oltre che di quanti manager e quanti consulenti anche di quali obiettivi orizzontali, comuni a tutte le aree progettuali, si debbono perseguire?

E di quale posto spetta, tra essi, all’obiettivo di maggiore occupazione e relativi redditi? Si può pensare, analogamente a quanto si fa per i progetti che hanno ricadute ambientali, di indicare per ciascun progetto quanta occupazione esso genererà, operando una sorta di valutazione di impatto occupazionale?

C’è chi ha detto che o si vota questo regolamento o si sta fuori dall’Europa.

Ma si può stare in Europa anche cercando di cambiarla.