La settimana di fuoco di Conte inizierà alle 14.30, quando «informerà» il Senato su cosa ci si aspetta dal decisivo Consiglio europeo di giovedì. Domani il cdm, già previsto per ieri e poi slittato, metterà a punto il nuovo decretone da 70 miliardi e già venerdì, o più probabilmente nei primi giorni della prossima settimana, il Parlamento voterà lo scostamento di bilancio.

OGGI IL PREMIER stempererà, ma senza rovesciarla, la linea sin qui adottata in materia di Mes. Lo ha anticipato di fatto nell’intervista a spada sguainata rilasciata domenica alla Suddeutsche Zeitung.

Il Mes «ha una brutta fama in Italia», meritata grazie all’intervento sulla Grecia. Meglio non adoperarlo. Conte ripeterà tuttavia che una scelta definitiva non potrà che essere adottata quando i particolari dell’accordo saranno chiari: quali i tempi di restituzione (particolare che anche Prodi considera fondamentale) e quali le condizioni reali. Senza parlare dell’esistenza o meno della possibilità di modificare l’accordo da parte dei creditori a maggioranza qualificata.

Data la notevole confusione dei trattati la risposta è incerta. Se detta maggioranza fosse dell’85%, il voto dell’Italia, che nel Mes ha il 16%, basterebbe a impedire ogni irrigidimento. Altrettanto centrale, poi, la possibilità di adoperare i 36 miliardi del prestito Mes non solo per la Sanità in senso stretto, ma qui il vicepresidente della Commissione Dombrovskis ha già assicurato ieri che il vincolo sarà interpretato «in modo estensivo».

A PALAZZO MADAMA non ci sarà voto ma basteranno gli interventi per confermare che la maggioranza è spaccata. Il Pd vuole accettare il prestito a tutti i costi, i 5S sono di parere opposto anche se all’interno la componente filogovernativa sarebbe pronta a ingoiare il prestito. Ma con Di Battista che spara a palle incatenate, un pattuglione di parlamentari guidato dalla solita Barbara Lezzi in assetto di guerra, Di Maio che spinge nell’ombra per la linea dura e il reggente Crimi della stessa opinione un cambio di linea dei 5S è per ora fuori discussione. L’ora della verità arriverà tra settimane, quando il Piano europeo sarà stato definito e si tratterà di votarlo.

È in vista di quella scadenza che si moltiplicano le voci ma anche qualche manovra concreta in vista di un possibile cambio di governo e di maggioranza. L’eco e anche qualcosa di più diretto è arrivata al Colle dove però queste più o meno fantasiose ipotesi vengono considerate impraticabili (anche se in Italia non si può mai dire). La sola dotata di qualche concretezza è la marcia di avvicinamento tra Conte e Fi. Un flirt fatto di segnali sempre più espliciti, sfociati nell’intervista di Conte al Giornale, nella quale il premier riconosce a Berlusconi il titolo di «opposizione responsabile».

Il ministro 5S D’Incà giura che «la maggioranza c’è e non ha bisogno di Fi». Ma l’eventualità di un «paracadute» azzurro per supplire agli eventuali voti contrari di una parte dei 5S sul Piano europeo è la sola in campo che possa vantare una punta di realismo. Certo più del paradossale governo Pd-Lega con Draghi premier (e magari Borghi ministro dell’Economia) di cui pure si continua a parlare.

Però anche una spaccatura dei 5S, se non limitata a pochi voti, finirebbe per dissolvere il governo, con o senza salvataggio di Fi sul Mes.

RENZI SBRIGATIVO, considera l’accettazione del Mes da parte dell’Italia già acquisita: «La Ue ha già deciso. Ora avanti con il Recovery Fund». Conte, se la situazione glielo permetterà, eviterà invece quello scontro con i 5S che considera l’iceberg più vicino contro il quale potrebbe sbattere il suo Titanic. Non è detto che quella possibilità sia a sua disposizione. Se la Ue vincolasse ogni erogazione di fondi all’accettazione del Mes, Roma si troverebbe quasi costretta a piegarsi.

Il bello è che lo scontro sul Mes è tutto sommato secondario. Il problema dell’Italia non è quello: è il debito che le spese per la doppia emergenza sanitaria ed economica costringe a contrarre. È su quel fronte che il vertice di Bruxelles diventerà incandescente e in campo non ci saranno solo gli eurobond.

La Spagna dovrebbe infatti avanzare una nuova proposta: un Fondo con 1500 miliardi di finanziamento, provenienti da un bilancio europeo portato dall’1 al 2% del Pil Ue, che emetterebbe una sorta di debito perpetuo. A fondo perduto. Per la Germania l’ipotesi sarebbe meno inaccettabile degli eurobond. Il piano spagnolo, a differenza degli eurobond bocciati anche ieri tassativamente da Angela Merkel, non sarebbe in odor di conflitto con la Costituzione tedesca.