Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) è un’agenzia europea intergovernativa permanente, con sede in Lussemburgo, destinata a fornire assistenza finanziaria, sotto forma di prestiti, a paesi dell’Eurozona in difficoltà o a venire in aiuto a banche in crisi, apportando nuovo capitale. Il Mes sta per essere riformato, ma non sarà un vero e proprio Fondo monetario europeo, come avrebbe voluto la Germania, che pensava a un “gendarme” dei conti pubblici. Il principale passo avanti è che il nuovo Mes sarà responsabile di fronte all’Europarlamento: una prima bozza di intesa è stata discussa all’Eurogruppo nel giugno scorso, verrà ridiscusso all’Eurogruppo del 4 dicembre e poi sarà sottoposto al Consiglio dei capi di stato e di governo di metà dicembre.

L’obiettivo a medio termine è una riforma che porti alla nomina di un ministro delle Finanze europeo, un passo verso la costruzione di un’Europa federale – cioè un sistema solidale – che nel futuro potrà emettere obbligazioni europee e più a breve garantire i conti correnti di tutti in caso di crisi delle banche. Il Mes è difatti un fondo che può accedere a prestiti al posto di stati che hanno perso credibilità sui mercati (cioè ha una funzione anti-spread), con garanzie che arrivano da tutta la zona euro. Ma l’altra faccia della medaglia sono le «condizionalità»: il Mes prima versione è stato legato al Fiscal compact, «subordinato a una stretta condizionalità» di rispetto delle regole. Con la riforma questo aspetto resta ben presente. Nei due nuovi strumenti (una linea di credito precauzionale sotto condizioni e una linea di credito a condizioni rafforzate) resta il legame con il rispetto del 3% di deficit nei due anni precedenti il ricorso al Mes, e il percorso di riduzione del debito di almeno un ventesimo l’anno. Oggi molti stati criticano il limite del 3%, Francia compresa, ma Germania e Olanda non cedono perché temono di dover dare garanzie per i paesi “cicala”.

Il Mes, in vigore dal 27 settembre 2012 e presieduto dal tedesco Klaus Regling, è stato varato al Consiglio europeo del dicembre 2010, durante la crisi greca. Ha un capitale di 700 miliardi. È l’erede dell’European Financial Stability Facility e del vecchio Mesf (Meccanismo di stabilità finanziaria). I suoi predecessori e l’attuale Mes sono già intervenuti varie volte: ci sono stati i tre famigerati programmi di «assistenza» per la Grecia, e interventi in Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro. La bestia nera dei detrattori del Meccanismo sono le «condizionalità», i Memorandum imposti alla Grecia sotto il controllo della trojka. Alla Spagna, che ha fatto ricorso al fondo salva-stati perché non c’era ancora il backstop per le banche (sarà introdotto con la riforma in corso) sono state poste condizioni per le banche, a Cipro il programma è stato più ampio e ha riguardato aumento delle tasse e diminuzione di spesa pubblica, sanità, pensioni. Con il sistema di quote partecipative nel Mes, c’è de facto un diritto di veto di Germania e Francia (il voto è a maggioranza relativa), che pesano rispettivamente per il 27% e 20% (l’Italia è in terza posizione, con il 18%). La questione delle «condizionalità» suscita grande opposizione tra i nazionalisti. A destra, la critica si concentra sulla perdita si sovranità nazionale, a sinistra sulla convinzione che venga di fatto affidata la decisione sui bilanci pubblici a funzionari della Ue.

Le «condizionalità» sono una questione controversa anche per il prossimo bilancio Ue, ancora in alto mare. I paesi beneficiari dei fondi di coesione non vogliono sentir parlare di «condizionalità» nei finanziamenti, che i paesi contributori vorrebbero legare al rispetto dello stato di diritto (riguarda Ungheria e Polonia) e anche all’accoglienza dei migranti, secondo le quote di ripartizione.