Appena entra l’applauso esplode lungo e caloroso. Meryl Streep è un’attrice magnifica, forse l’unica in grado di restituire fragilità e presa di coscienza di Katharine Graham, l’editrice del «Washington Post» protagonista del film di Spielberg. Visto il suo impegno col movimento Time’s Up (in sostegno delle donne molestate) è inevitabile parlarne anche perché il suo personaggio in quell’America del 1971 concentra la fatica per una donna a imporsi in ruoli a lei «preclusi».

«Nelle redazioni dei giornali le donne erano per lo più segretarie e non c’erano neri. Graham è stata la prima donna alla testa di una società che è riuscita a imporsi vincendo anche un Pulitzer per la sua autobiografia» dice Streep. E aggiunge: «La versione iniziale della sceneggiatura è stata scritta sei giorni prima delle elezioni. Pensavamo di avere una presidente donna e ci dicevamo che avrebbe mostrato quanta strada era stata fatta… Invece non è andata così, sono iniziati gli attacchi alla libertà di stampa e alle donne all’apice del nostro governo. E la nostra storia è diventata una riflessione su quanta strada non è stata fatta!».

E adesso? «L’aria è cambiata e non solo a Hollywood – dice l’attrice – Le donne hanno sempre combattuto ma quando anche Hollywood è rimasta coinvolta è come se ci fosse stata una spinta in più, anche da altre parti si è trovato il coraggio di far sentire la propria voce. Sono molto felice per questo e pure se in futuro ci potranno essere dei passi indietro mi sento ottimista».