È difficile mettere Angela Merkel in difficoltà. Autocontrollo, prudenza, intelligenza tattica, pragmatismo: con queste caratteristiche la cancelliera democristiana è sempre riuscita, da quando è alla guida del governo tedesco, a mantenersi a galla. E a far affondare gli avversari (anche quelli interni al partito). Il caso più emblematico, la svolta sull’energia atomica avvenuta a metà legislatura: con la scelta anti-nuclearista del 2011 ha privato le opposizioni di una delle migliori armi per attaccarla. E ha cominciato a risalire nei sondaggi, che allora erano poco incoraggianti.

Colpisce, pertanto, vederla in crisi. Come è accaduto in una recente trasmissione sul canale pubblico Ard, quando non ha saputo offrire argomenti che giustificassero il suo «no» al matrimonio egualitario sul modello spagnolo e francese. L’unica cosa che è riuscita a balbettare: «Mi preoccupa il benessere del bambino». Riferendosi implicitamente ai «disturbi» nella crescita a cui andrebbe incontro il figlio adottivo di una coppia omosessuale. Poco importa che numerosi studi scientifici, e l’esperienza di altri Paesi, mostrino che di tali disturbi non ci sia traccia: l’omogenitorialità è un tabù e tale deve restare.

La maggioranza dei tedeschi – stando alle inchieste di opinione – è favorevole all’apertura dell’istituto del matrimonio anche ai gay e alle lesbiche: secondo un sondaggio dell’istituto Forsa reso noto lo scorso febbraio dal settimanale Stern, lo è addirittura il 75% dei cittadini della Repubblica federale. La leader della Cdu, però, guarda al restante 25%: uno zoccolo duro conservatore che è meglio non inimicarsi a pochi giorni dal voto.

Esiste una Germania profonda, infatti, che oppone resistenza, trovando nel partito della cancelliera l’ultima sponda politica rimasta. «Le Chiese nel nostro Paese hanno certamente meno influenza che nel vostro, però si fanno sentire», spiega al manifesto Renate Rampf, una delle portavoce della Lsvd (Lesben- und Schwulenverband Deutschlands), la più importante associazione che si batte per i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transgender in terra tedesca. «Non solo i cattolici, ma anche gli evangelici si oppongono a ogni avanzamento in materia di diritti civili: la Chiesa protestante ha fedeli sempre più anziani, e subisce la spinta delle comunità del resto del mondo, dove sono forti le correnti omofobe», afferma Rampf. Almeno in questo, l’Italia con i suoi valdesi è una felice eccezione.

Merkel sa benissimo, in realtà, che quella che difende è una causa persa. Se non sarà il nuovo Parlamento a farlo, presto interverrà la Corte costituzionale di Karlsruhe a sancire il definitivo pieno riconoscimento dei diritti degli omosessuali, in linea con una lunga serie di recenti sentenze. Come quella, pronunciata lo scorso febbraio, che ha dichiarato incostituzionale il divieto che impediva a un partner, nell’ambito di un’unione civile, di diventare padre o madre del figlio adottivo dell’altro. Una facoltà, quella di diventare il secondo genitore di un bambino precedentemente adottato da un single, che era riservata ai soli eterosessuali.

Dal 2001, grazie alla legge promossa dal governo Spd-Grünen di Gerhard Schröder, una coppia omosessuale in Germania può contrarre un’unione civile (Lebenspartnerschaft). La norma nacque un po’ zoppa, perché i conservatori all’epoca controllavano il Bundesrat, la Camera alta. Nel corso degli anni sono state introdotte modifiche grazie alle quali ora una Lebenspartnerschaft è di fatto quasi come un matrimonio, salvo che per un pieno diritto all’adozione. «Ma se abbiamo conquistato nuovi diritti dobbiamo dire grazie ai giudici costituzionali, non certo alla maggioranza democristiano-liberale che ci ha governati in questi anni, che è sempre solo andata a rimorchio delle sentenze», sostiene la rappresentante della Lsvd. Ad esempio, quella a proposito del trattamento fiscale uguale fra partner gay e sposi etero: rifiutato dal centro-destra nell’ottobre del 2010, accettato a denti stretti nel giugno scorso in seguito a una decisione della Corte di Karlsruhe.
Al movimento omosessuale tedesco non basta, tuttavia, una quasi-eguaglianza: «Vogliamo una parità piena, anche sul piano simbolico. Nessuna discriminazione, per quanto piccola, è ammissibile: esigiamo che la nostra unione si chiami matrimonio. E chiediamo anche una riforma dell’articolo 3 della Costituzione, che vieta la discriminazione per ragioni di sesso, razza, fede, lingua e convinzioni politiche: bisogna aggiungere anche l’orientamento sessuale».

D’accordo con tutte le principali richieste della Lsvd sono i tre partiti progressisti (Spd, Linke e Verdi), mentre i liberali della Fdp sono favorevoli al matrimonio egualitario (quindi con l’adozione), ma non alla riforma della Costituzione e nemmeno alla riabilitazione delle vittime della discriminazione legale del passato – un tema «tipicamente tedesco»: l’elaborazione collettiva dei crimini del passato ha un ruolo centrale nella cultura democratica della Germania.

La palma di partito in assoluto più gayfriendly va agli ecologisti: sono gli unici che propongono l’inserimento della condizione omosessuale fra i temi di cui deve occuparsi la cooperazione internazionale gestita dal governo tedesco: una macchina che muove una montagna di soldi che spesso finiscono, nei Paesi destinatari degli aiuti, nelle mani di organizzazioni apertamente omofobe. «Ma a proposito di società civile, attenzione alle discriminazioni che avvengono anche qui a casa nostra», avverte Rampf. «Chi lavora in un ospedale o una scuola gestita da enti religiosi rischia il licenziamento se contrae un’unione civile con una persona del suo sesso: la Costituzione tedesca tutela l’autonomia decisionale delle Chiese, che spesso si trasforma in licenza di colpire tutti quelli che non rispondono al loro ideale eteronormativo. Anche su questo ci aspettiamo che il prossimo Bundestag agisca».