L’immagine più rappresentativa della profonda crisi in cui si trova l’Unione Europea è senz’altro quella di Angela Merkel seduta accanto a Erdogan, nel teatrale palazzo presidenziale di Ankara, tre giorni fa. Lei palesemente imbarazzata, lui gongolante sul trono dorato dal kitsch neo-ottomano. Forse era il momento della visita che Angela temeva, visto che aveva insistito tantissimo per non incontrare il Presidente turco, proprio per evitare quella foto.

Alla fine ha ceduto, come ha ceduto su tutto. Ad Ankara la Cancelliera ha subito un’umiliazione dietro l’altra: ha sentito il premier Davudoglu chiedere soldi e riconoscimenti, perfino la sua presenza nei Consigli Europei. Si è fatta strumentalizzare a fini elettorali appena due settimane dopo la spaventosa strage di manifestanti (per i quali non ha speso una parola), fino a promettere cose che non può mantenere: come l’accelerazione del processo di adesione all’Ue.

Già ieri il presidente di Cipro Anastasiades ha dichiarato che non se ne fa nulla. I due capitoli negoziali (il 23 e il 24) chiusi da Nicosia tanti anni fa, non saranno aperti, finché Ankara non si decide di aprire i suoi porti al vessillo cipriota. Ma Nicosia non è sola. Esclusi gli estasiati fan del Corriere della Sera («ha il dono dello sguardo storico in prospettiva ereditato da Bismarck»), nessuno in Europa ha preso sul serio le dichiarazioni di Merkel. La diffidenza verso Ankara è diffusa: il processo di adesione è rimasto bloccato per un decennio proprio per via delle manie di grandezza di Erdogan e se qualcuno aveva dubbi è bastata la magra figura fatta dalla cancelliera.

Già prima della fatale visita, Berlino era scivolata sulla storia dei comuni pattugliamenti greco-turchi nell’Egeo. «In fondo, sono due paesi Nato», aveva dichiarato allegramente la cancelliera. Certo, due paesi Nato che da parecchi decenni si guardano in cagnesco. Almeno dal 1973, da quando la Turchia avanza pretese sull’Egeo e si rifiuta di delimitare la zona economica, mentre viola quotidianamente lo spazio aereo greco. Per non parlare di Cipro, tuttora in parte occupata dall’esercito di Ankara.

La proposta tedesca è miseramente crollata quando Atene, prevedibilmente, ha rifiutato qualsiasi presenza militare turca oltre la linea di confine. Merkel forse non lo sapeva, ma quel volpone di Juncker sì: ha fatto di tutto infatti per sottolineare che si trattava di un’idea tedesca e che la Commissione non c’entrava nulla.
Mentre la cancelliera andava incontro a un fallimento dietro l’altro, il presidente francese Hollande preparava attentamente la sua trionfale visita ad Atene, che inizia domani. Sarà accompagnato da buona parte dei suoi ministri (Ségolène Royal e Michel Sapin compresi), da una settantina di imprenditori di prima grandezza (Total, Suez, Edf, Vinci, Veolia) e di esponenti della cultura d’oltralpe.

La voglia dei francesi di fare business con la disastrata Grecia è grande: «Non ce ne staremo con le mani in mano a vedere i cinesi comprare i porti e i tedeschi gli aeroporti greci», ha dichiarato qualche giorno fa un diplomatico francese. Ma non è detto che alla fine saranno firmati contratti miliardari. Hollande va ad Atene per altri motivi. Quello che gli interessa è sottolineare la sua vicinanza alla Grecia ma anche il suo sostegno alla svolta eurorealista di Alexis Tsipras, cui egli stesso ha contribuito non poco.

L’attivismo e il filoellenismo di Hollande rientrano nei movimenti teutonici che lentamente scuotono gli equilibri europei dopo l’estate del mancato – per poco – grexit. Nel grande choc di luglio, in quel vertice europeo durato ben 17 ore, Hollande ha visto chiaramente che insieme a Tsipras i tedeschi erano pronti a schiacciare qualsiasi prospettiva di autonomia dei socialisti in un’Europa dominata da Berlino. Lo spettro della sconfitta da parte di Le Pen si è di colpo materializzato. Proprio ad Atene Hollande avrà la possibilità di toccare con mano la triste fine dei socialisti che si sdraiano acritici sulla linea dell’austerità. È la parabola del Pasok, passato in pochi anni dal 44% al 6,2%.

Questo nuovo dialogo con Tsipras in gran parte è dovuto all’intensa opera del capogruppo socialista a Strasburgo Gianni Pittella, che ha appena pubblicato un libro proprio sulla crisi greca. I primi frutti si vedranno venerdì, quando Hollande parlerà al Parlamento greco: si attende una chiara dichiarazione in favore del taglio del debito. Ma è molto probabile che annunci anche la collaborazione tra i socialisti e i deputati europei di Syriza e, in prospettiva, anche gli altri gruppi della sinistra europea. «Vogliamo collaborare con i socialisti, non farci certo fagocitare», ha spiegato l’ eurodeputato Dimitris Papadimoulis.