L’ombra di Viktor Orbán si proietta con frequenza sulla scena politica tedesca.

Nel momento più aspro dello scontro tra la cancelliera Angela Merkel e gli alleati bavaresi della Csu sulla politica migratoria era stato il presidente bavarese Horst Seehofer a invitare l’autocrate ungherese, non esitando a indicare la sua politica di chiusura delle frontiere come un modello da seguire in risposta ai tentennamenti dell’Unione europea.

Ora è il vecchio Helmut Kohl, il celebrato artefice della riunificazione tedesca e dunque personaggio chiave per la riconversione liberista dell’Europa orientale, a ricevere Orban nella sua casa di Ludwigshafen. L’occasione è la pubblicazione dell’edizione ungherese del suo libro Aus Sorge um Europa, (Premura per l’Europa) nella cui introduzione è contenuta una critica, sia pure molto generica, alla politica migratoria di Angela Merkel: «La soluzione risiede nelle regioni coinvolte, non in Europa. L’Europa non può divenire una nuova patria per milioni di persone che si trovano in stato di necessità». Fatto sta che l’incontro tra il vecchio leader e l’uomo forte di Budapest, che si dichiarano «amici di vecchia data», non aveva mancato di suscitare qualche nervosismo a Berlino. Non si può certo dimenticare che il nazionalismo di Orban (non solo la chiusura ai migranti, ma anche le sue inclinazioni antidemocratiche) è diventato una bandiera sventolata dalle destre xenofobe di tutto il continente.

Per non alimentare le polemiche i due «vecchi amici» dichiarano in un comunicato congiunto di non nutrire alcun intento polemico nei confronti della Cancelliera. Sarebbe infatti preoccupazione a tutti comune quella di prestare aiuto alle popolazioni in difficoltà discutendo il modo migliore per farlo. Insomma, cortesia diplomatica, ma tenendo ben ferme le proprie posizioni. E soprattutto evitando di esporre eccessivamente il padre della Germania unificata.

Non è però un mistero per nessuno che l’equilibrismo politico della Cancellierasui migranti stia incontrando difficoltà estreme proprio nelle «regioni coinvolte». Quell’accordo con la Turchia, tramite il quale il governo di Berlino sperava di contenere l’impatto del flusso migratorio sulla Repubblica federale, traballa pericolosamente. Le pretese sempre più arroganti e megalomani di Ankara nei confronti dell’Ue (soldi, liberalizzazione dei visti, censura della satira contro la sacra persona di Erdogan), incontrano una crescente ostilità dell’opinione pubblica e delle istituzioni europee. Di fronte alla quale il Sultano minaccia ripetutamente di rovesciare il tavolo. L’accusa, rivolta a suo tempo dai falchi tedeschi alla Grecia, di voler ricattare l’Europa, può riproporsi amplificata e con ben più solidi fondamenti verso il sultano turco. Il quale tiene nelle sue mani la «soluzione» pensata a Berlino per coprire il fianco destro della Cancelliera, insidiato dall’avanzata dei nazionalisti di Alternative für Deutschland . Tuttavia la natura del personaggio è tale che settori sempre più ampi dell’opinione pubblica cominciano a ritenere improprio, se non criminale, affidare in siffatte mani il destino di centinaia di migliaia di rifugiati. Ma, anche da destra, la decisione di Berlino di non opporsi al processo preteso da Erdogan contro il conduttore tv Boehmermann è considerata come una vergognosa capitolazione. Nonostante la tensione, ad Ankara continuano imperterriti a giocare pesante. Ieri all’aeroporto di Istanbul è stato fermato il reporter tedesco dell’Ard, Volker Schwenck, diretto verso il confine turco-siriano, negandogli l’ingresso nel paese.

Se è chiaro quanto sia indecente l’accordo con la Turchia, è però altrettanto chiaro quanto il suo fallimento comprometterebbe l’idea stessa (non meno cinica) di allestire un sistema di «filtraggio» dei migranti in paesi i cui rapporti con l’Europa sono assai meno stretti e consolidati di quelli con la Turchia e le garanzie democratiche del tutto inesistenti.