Se non è la resa definitiva, ne ha tutta l’aria. «Sappiamo che al vertice Ue non ci sarà alcuna soluzione per un pacchetto di misure sulle questioni migratorie» dice Angela Merkel parlando del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, e derubricando perdipiù il minivertice che si aprirà domani pomeriggio a Bruxelles a semplice «riunione di lavoro».

PER LA CANCELLIERA non deve essere semplice ammettere quello che sembra essere ormai un fallimento scontato. In Germania il falco della Csu bavarese e ministro degli interni Horst Seehofer aspetta solo di vedere se dal vertice usciranno o no misure adeguate a fermare il flusso dei migranti prima di dare il via alle espulsioni dalla Baviera di quelli ritenuti irregolari. Mossa che aprirebbe di fatto la strada alla rottura con lo storico alleato e quindi alla crisi di governo.

A CONFERMARE la sensazione che il tempo stia ormai per scadere contribuiscono almeno due elementi. Come le dichiarazioni fatte ieri dal primo ministro del governo regionale bavarese, Markus Soeder, per il quale la Germania sarebbe ormai giunta a un «crocevia» e deve prendere «decisioni chiave». Ma anche le indiscrezioni provenienti da Berlino secondo le quali i socialdemocratici della Spd si starebbero già preparando a una campagna elettorale lampo in vista di possibili elezioni imminenti. Insomma per l’Unione europea, mai come oggi così pericolosamente divisa e sotto attacco delle destre sovraniste, tira proprio una brutta aria. Al punto che se lo scenario tedesco dovesse avverarsi il primo a farne le spese rischia di essere il trattato di Schengen, già oggi messo a dura prova.

L’ESPULSIONE UNILATERALE dei migranti dalla Baviera, con conseguente chiusura dei confini, darebbe infatti il via libera a un effetto domino che finirebbe con il coinvolgere se non tutti, di certo un gran numero di Stati membri, sancendo così la fine di uno dei principi più importanti dell’Unione europea come la libera circolazione.
Qualcuno, come il premier austriaco Sebastian Kurz a cui dal primo luglio spetterà la presidenza di turno dell’Ue, ha già messo le mani avanti: «Se la Germania dovesse chiudere i suoi confini noi saremmo pronti e faremmo tutto il necessario per difendere le nostre frontiere», ha annunciato. E promessa analoga è arrivata anche dal primo ministro della Repubblica Ceca Andrej Babis.

LE CARTE perché questo scenario catastrofico si realizzi sono già sulle scrivanie di Bruxelles. La Francia, che in seguito agli attentati terroristici ha ripristinato i controlli alle frontiere dal 2015, lo scorso aprile ha comunicato l’intenzione di prolungare i controlli per altri sei mesi, fino a ottobre. Austria e Germania li hanno sospesi a maggio ma hanno già espresso analoga intenzione e come loro Svezia, Danimarca e Norvegia (che non fa parte dell’Ue ma è nell’area Schengen).
Tutti questi Paesi spingono perché l’Unione metta mano alle attuali regole di Schengen permettendo di prolungare i controlli almeno fino a tre anni consecutivi rendendo così più svelte le procedure.

TUTTO QUESTO SENZA CONTARE i muri e le barriere create dai singoli Stati per fermare i migranti in Ungheria, Croazia, Slovenia, Grecia, e Bulgaria. Non riuscendo a chiudere le frontiere esterne dell’Europa, gli Stati si preparano a blindare quelle interne, mettendo così a rischio il sogno europeo.
«Nel giro di un anno si deciderà se esisterà ancora un’Europa unita oppure no», ha detto Matteo Salvini al tedesco Spiegel. Resta da capire se quella del ministro degli Interni sia una paura oppure una speranza.