Quando si dice due pesi e due misure. Il governo tedesco ha reagito con indignazione alle rivelazioni sullo spionaggio ai danni della cancelliera Angela Merkel da parte dell’intelligence degli Stati Uniti. Ma ritiene assolutamente giustificato che il servizio segreto interno (Verfassungsschutz)controlli le attività di numerosi deputati della Linke.

Motivo: va difeso l’ordine costituzionale da minacce estremiste. Come sarebbero quelle che provengono da alcuni settori del partito più a sinistra dell’arco parlamentare della Repubblica federale, ai quali si addebita l’intenzione di voler sovvertire la democrazia e conculcare la libertà civili.

La storia è vecchia, e antica è la battaglia dei social-comunisti tedeschi in favore della piena «agibilità politica». Ma ora c’è una novità: in una recente sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo lo spionaggio ai danni di un rappresentante della Linke nel Parlamento regionale della Turingia, Bodo Ramelow. Una decisione che vale soltanto per il caso specifico, ma che potrebbe rappresentare una svolta di portata generale.

Il condizionale è d’obbligo, perché a dover decidere è l’esecutivo. Che, fino ad ora, non si è mostrato interessato a rivedere i criteri in base ai quali gli agenti segreti «osservano» i movimenti degli esponenti della Linke. Al governo si rivolgono i massimi dirigenti del partito spiato: forti della decisione della Consulta, il capogruppo al Bundestag Gregor Gysi e i segretari Katja Kipping e Bernd Riexinger esigono l’immediata cessazione di ogni attività di intelligence che riguardi la loro formazione. Altrimenti minacciano una valanga di ricorsi in sede giudiziaria.

Con la nascita della «grande coalizione» fra democristiani (Cdu-Csu) e socialdemocratici (Spd), l’attitudine del governo potrebbe cambiare. Dopo la pronuncia della Corte, il responsabile interni della Spd, Thomas Oppermann, ha usato parole nette: «Non sono i deputati della Linke a mettere in pericolo la sicurezza in Germania. Occorre liberarsi di immagini del nemico interno ormai superate: il servizio segreto deve occuparsi dei veri nemici della democrazia».

L’allusione, nemmeno troppo velata, è alla colpevole sottovalutazione della galassia neonazista, portata alla luce dalla vicenda della Nsu (Nationalsozialistischer Untergrund): il gruppo di assassini che agì impunemente dal 2000 al 2006, compiendo una serie di omicidi di migranti e di tedeschi di origine turca, che fu scoperto casualmente nel 2011. Nonostante molti infiltrati nel sottobosco dell’estremismo nero, l’intelligence interna non riuscì ad accorgersi dell’esistenza di una cellula terroristica, che per anni si mosse indisturbata.

Se il ministro degli interni rimarrà lo stesso, però, le possibilità di un cambio di orientamento dell’esecutivo si faranno scarse: il duro Hans-Peter Friedrich (della bavarese Csu) non appare incline a ripensamenti. L’ipocrita argomento con cui difende la legittimità dello spionaggio della Linke è che nel mirino dei servizi non c’è l’intero partito, ma soltanto alcune sue correnti. Quelle, come la Kommunistische Plattform, che coltiverebbero progetti politici incompatibili con l’ordinamento costituzionale. Una divisione in «buoni e cattivi» che i dirigenti della Linke rispediscono al mittente.