Scuola, ripresa economica e coesione sociale. Angela Merkel detta i tre punti della sua linea, che corrispondono all’agenda della Germania da qui alla fine dell’anno. Preparando i tedeschi ai «mesi in arrivo che saranno difficili perché la situazione è e resta seria». Nessun ottimistico, incrollabile, «wir schaffen das» («ce la faremo») ma la piena consapevolezza che «dovremo convivere ancora a lungo con la minaccia del coronavirus, alla fine dell’estate quando saremo al chiuso nei posti di lavoro, nelle scuole e nelle nostre case». È il messaggio chiaro e tondo di “Mutti” diffuso a reti unificate, forse l’ultimo della sua carriera nell’annuale conferenza stampa estiva che a Berlino segna il termometro della Bundesrepublik sempre più impestata di Covid-19.

Il mito del modello sanitario ineccepibile è solo uno sbiadito ricordo della “Fase uno” brillantemente superata, e la cancelliera sa bene che la Germania rimane appesa al filo del bollettino medico quotidiano dell’Istituto Robert Koch, l’ente federale per le malattie infettive che elabora i numeri del contagio tutt’altro che sotto controllo.

Oltre 1,570 nuovi positivi in 24 ore è la cifra che le impone di riprendere, con entrambe le mani, la barra del Paese che non si può salvare solamente con la pioggia di miliardi pubblici stanziati dal ministro delle Finanze, Olaf Scholz, e tantomeno nel rispetto delle competenze sanitarie frammentate dal federalismo costituzionale.

L’accordo di massima con i 16 governatori dei Land è chiuso da 48 ore (dalla multa di 50 euro per chi non indossa la mascherina, al divieto di accesso agli stadi, fino alle restrizioni della capienza dei locali pubblici e ai tamponi obbligatori per chi proviene dalle zone a rischio), eppure non basta a governare la pandemia che non conosce limiti di tempo né di spazio.

A rischio, l’intera tenuta del sistema-Paese mai così scollato dall’incontrovertibile realtà dei fatti. E in pericolo, soprattutto, c’è «la generazione futura» su cui si sta già scaricando il conto del morbo destinato a segnare non solo la sua epoca.

Per questo «farò tutto il possibile per impedire che i bambini diventino gli sconfitti dell’epidemia. La scuola non deve lasciare indietro nessuno» promette Merkel.

Insieme alla garanzia che il suo governo non mollerà i lavoratori e imprese «per tutto il tempo necessario a superare gli effetti del virus». Vuol dire prolungamento della cassa integrazione “senza se e senza ma”, visto che «la Germania può permettersi di mantenere le misure assunte fino a oggi e qualunque decisione del governo è stata controbilanciata con il rischio di non agire».

All’orizzonte si staglia l’incertezza totale, e anche se «con un po’ di buonsenso e le limitazioni imposte potremo superare questo periodo, si potrà tornare alla normalità solo quando saranno disponibili il vaccino e i medicinali appropriati». Concetto che Merkel ribadisce con parole ancora più chiare: «Non sappiamo ancora se ci vorranno tre mesi, un anno o 15 mesi. Da questo punto di vista siamo di fronte a una sfida sconosciuta alla nostra capacità finanziaria».

Ma a preoccupare la cancelliera è soprattutto il terzo imperativo categorico scolpito in agenda. Se salta la coesione sociale non ci sarà alcun rimedio per salvare dalle “macerie” la socialdemocrazia tedesca. «La pandemia è un fardello molto diseguale per i cittadini» puntualizza Merkel. Si abbatte sulle categorie sociali più deboli così come investe in maniera distinta le diverse fasce anagrafiche, come nel resto dell’Europa.
«Adesso l’età dei contagiati è scesa e io mi domando quale sia il motivo. Di sicuro c’è solo che una fascia sociale si è ritirata».