Angela Merkel è una vera democristiana. Prudente, dotata di un fiuto finissimo per il potere, che amministra volentieri e con sapienza. Sono le doti che tutti le riconoscono, e che ha messo in mostra ancora una volta ieri, in un’intervista pubblicata dal quotidiano Rheinische Post che ha fatto imbufalire i socialdemocratici della Spd, suoi alleati nella grosse Koalition. Motivo dell’irritazione: alcuni passaggi relativi all’elezione del prossimo presidente della Commissione europea dopo il voto del 25 maggio. La carica per la quale competono i favoriti Martin Schulz (Pse) e Jean-Claude Juncker (Ppe), e Alexis Tsipras per la Sinistra europea.

Cosa ha detto la cancelliera tedesca? Dopo avere ricordato che, secondo il trattato Ue (art.17), il Consiglio dei capi di governo dà l’incarico di presidente della Commissione «tenendo conto» del responso delle urne, ha affermato: «I candidati dei partiti europei avranno naturalmente, in questo contesto, un ruolo». Tradotto: comunque vadano le elezioni, e chiunque prevalga tra socialisti e conservatori, non è detto che sia uno fra il tedesco Schulz o il lussemburghese Juncker a diventare capo dell’esecutivo di Bruxelles.

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Esattamente il contrario di quello che pensa il vicecancelliere e leader Spd Sigmar Gabriel, che sostiene senza mezzi termini che «sarebbe una presa per i fondelli» se ciò non accadesse. L’intervistatore, puntualmente, riporta la posizione di Gabriel, e Merkel reagisce con aplomb: «Abbiamo una chiara base legale in virtù della quale il Consiglio europeo – cioè i capi di governo – farà la sua proposta per il nuovo presidente della Commissione». Dunque: Gabriel si rassegni, faremo a modo nostro.

Le frasi «incriminate», in realtà, nel loro significato letterale sono prive di grande contenuto politico: la cancelliera si è limitata a dire ciò che è scritto nel trattato Ue. Con molto acume, Merkel non ha esplicitamente contraddetto il proprio vice. E tuttavia, non è difficile leggere tra le righe un messaggio duro e poco incoraggiante: «Giocate pure alla democrazia europea con i vari candidati, ma alla fine decideremo noi leader nazionali chi mettere a Bruxelles». L’Europa politica, cioè, deve restare un’utopia, perché la Ue reale deve restare saldamente nelle mani dei ventotto capi di stato e governo, secondo lo spirito intergovernativo – e non comunitario – che ha preso piede negli ultimi anni.

La reazione dei socialdemocratici non si è fatta attendere: Gabriel ha accusato Merkel di volere «una politica del retrobottega», rivendicando l’automatismo tra risultato elettorale e designazione del vertice della Commissione. Per la numero due della Spd, Yasmin Fahimi, le dichiarazioni della cancelliera sono «vergognose». La campagna elettorale è entrata nel vivo, e i toni si fanno accesi – forse anche per suscitare più attenzione fra i tedeschi che, secondo i sondaggi, sembrano ancora piuttosto indifferenti di fronte all’appuntamento del 25 maggio. Stando a dati resi noti ieri, il 65% ammette di avere scarso o nullo interesse per il voto per l’Europarlamento.

Molte critiche a Merkel sono risuonate ieri anche durante la prima giornata del congresso della Linke, in corso a Berlino fino a domenica (quando saranno riconfermati gli attuali due segretari). Nel mirino del principale partito di opposizione ci sono, in particolare, le scelte compiute sulla crisi ucraina: «Il governo tedesco ha sdoganato una forza neofascista come Svoboda».

La capolista alle europee Gabi Zimmer ha rivendicato che la Linke si batta per «comprendere le ragioni della Russia», pur condannando l’annessione a Mosca della Crimea. Parole dure anche contro gli errori dell’Ue nella gestione della crisi cominciata con le rivolte di piazza Majdan, che «rischia di condurre – ha affermato Zimmer – a una nuova guerra fredda».