«In Germania non c’è posto per l’odio nelle strade». Due giorni dopo la sconvolgente caccia allo straniero dei nazisti a Chemnitz, la cancelliera Angela Merkel prova a spegnere l’eco della violenza che ha travolto la città sassone a partire da domenica pomeriggio. Mentre la sindaca Spd Barbara Ludwig continua a mostrarsi «inorridita per il raid», i Verdi chiedono le immediate dimissioni del ministro dell’Interno Horst Seehofer, e la Linke “incrimina” il governo della Sassonia, che anche ieri si è guardato bene dal chiamare nazisti coloro che per il pur «indignato» governatore Michael Kretschmer (Cdu) restano, banalmente, «un gruppo di casinisti».

Così la Repubblica federale reagisce alla furia fascista lasciata sfogare in maniera incontrollata dalle stesse forze dell’ordine che avrebbero dovuto reprimerla. Con stampa e telegiornali che ritrasmettono foto e video di braccia tese e slogan hitleriani insieme alle prove di aggressioni ai migranti, minacce ai giornalisti, bottigliate alla polizia. Immagini inquietanti tratte da due giorni di «protesta spontanea» (più che organizzata) per vendicare il 35 enne tedesco ucciso sabato notte nel corso di una rissa che ha coinvolto «10 persone di diversa nazionalità» come specifica la polizia.

Ottocento neonazisti liberi di mettere a ferro e fuoco l’ex Karl-Marx-Stadt per 48 ore all’urlo di «stranieri raus» e «il popolo siamo noi», forti dell’appoggio dei fascio-populisti di Alternative für Deutschland, e con la manforte del movimento islamofobo Pegida quanto dei Kaotic Chemnitz: l’ala estremista degli ultras della locale squadra di calcio.

Un’autentica rappresaglia, rubricabile alla voce terrorismo, in grado di riportare indietro le lancette della Sassonia al 1933. Cui si è opposta, davvero, solo la contro-manifestazione degli antifascisti che lunedì ha provato ad arginare il «tentativo di pogrom contro gli immigrati, non una protesta» per dirla con le parole scandite dalla comunità turca, tra le prime a chiedersi: «I razzisti fanno, di nuovo, la caccia all’uomo?».

Il bollettino di guerra diffuso ieri restituisce 20 feriti (9 nazi, 9 antifascisti, due poliziotti) oltre i migranti aggrediti (un afgano, un siriano, un bulgaro). Insieme alle stupefacenti dichiarazioni di Sonja Penzel, comandante della polizia di Chemnitz, che dettagliando l’identificazione di «50 persone pronte alla violenza» e di 10 nazi beccati a gridare «Heil Hitler», giura che i suoi agenti «erano ben preparati alla situazione».

Una vera rogna per la cancelliera Merkel: durissima nella condanna del raid nazista quanto morbida nella difesa d’ufficio del primo responsabile della sicurezza federale.

«Abbiamo assistito a qualcosa che non può avere luogo in una democrazia. Ci sono video che mostrano persone che danno la caccia ad altre persone: tutto ciò non ha nulla a che vedere con lo Stato costituzionale» ha ribadito ieri Mutti. La polizia? «Ha fatto ciò che ha potuto, mentre Seehofer ha prontamente assicurato rinforzi in caso di bisogno» precisa Merkel. Difesa debolissima, a fronte dell’attacco xenofobo sempre più frontale e sfrontato. «Se lo Stato non riesce più a proteggere i cittadini, loro scendono in strada per farlo da soli» è la lettura di Markus Cornel Frohnmaier, deputato Afd e portavoce della leader Alice Weidel. Fa il paio con la ricostruzione di Pegida: senza mezzo indizio, domenica aveva già stabilito che il tedesco accoltellato «stava proteggendo la moglie».

Per ora, in cella risultano solo il 23enne siriano e il 22enne iracheno sospettati dell’omicidio arrestati lunedì. Mentre restano ancora tutte da dimostrare le loro presunte molestie alla compagna della vittima.