Per Angela Merkel quelle che stanno per arrivare saranno giornate da globetrotter, in cui la cancelliera tedesca incontrerà mezzo continente nel tentativo di convincere i partner europei della bontà degli impegni discussi nel vertice di Ventotene. Un viaggio i cui esiti sono tutt’altro che scontati. I buoni propositi su immigrazione ed economia assunti due giorni fa dalla cancelliera insieme al premier italiano Matteo Renzi e al presidente francese François Hollande, rischiano infatti di infrangersi presto nel clima freddo (e non certo a causa delle basse temperature) che la cancelliera troverà ad attenderla soprattutto nei paesi dell’Europa dell’Est. La parola che rischia di far saltare tutto è «ricollocamenti», ovvero la disponibilità da parte degli Stati ad accogliere quote di profughi arrivati in Europa nel 2015. A Rimini, dove ha preso parte a un incontro con il collega Alfano al Meeting di Cl, il ministro tedesco degli Interni de Maiziere ha annunciato la svolta di Berlino affermando che la Germania è pronta ad accogliere «centinaia di profughi dall’Italia» a partire da settembre. Fosse vero sarebbe un cambio di passo notevole, in grado di rendere finalmente concreto il sistema di ricollocamenti voluto un anno fa dalla Commissione Ue e rivelatosi fino a oggi un vero flop, come ha più volte ammesso la stesso Alfano. Al 22 agosto, infatti, i profughi siriani ed eritrei effettivamente ricollocati sono 3.977 (961 dall’Italia e 3.016 dalla Grecia) su un totale di oltre 100 mila.

24desk1 Merkel

Ma se a muoversi è solo la Germania mentre tutti gli altri Stati restano a guardare, la Merkel rischia di ritrovarsi isolata proprio nel momento in cui avrebbe bisogno di mostrare al suo paese un’Europa più stabile e coesa. E soprattutto ancora a guida tedesca, seppure in collaborazione con Francia e Italia. Quella che Berlino sta per avviare – anche in preparazione del vertice previsto per il 16 settembre a Bratislava – è quindi una vera offensiva diplomatica, con il ministro per gli Affari europei Michael Roth domani e dopodomani in Turchia per una serie di incontri che hanno al centro l’accordo sui profughi siglato a marzo e per ricucire i rapporti ormai sempre più tesi con Ankara. Ma soprattutto con Angela Merkel che in prima persona si farà ambasciatrice di quanto è stato discusso a Ventotene in materia di economia, sicurezza e immigrazione. Si comincia oggi con i bilaterali con Estonia e Repubblica Ceca poi venerdì, a Varsavia, vertice con Polonia, Ungheria, Slovenia e Repubblica Ceca, i duri del blocco Visegrad. Quindi sarà la volta dei leader di Croazia, Slovenia, Bulgaria e Austria che la Merkel incontrerà nel castello di Meseberg, vicino Berlino, per finire con Svezia, Olanda, Finlandia e Danimarca.

Troverà pane per i suoi denti, questo è sicuro, e sarà pane duro da masticare. Di immigrazione e soprattutto di ricollocamenti il quartetto di Visegrad infatti non ne vuole sapere, e lo dice da sempre. «Non vogliamo che da noi si stabilisca una forte comunità musulmana», ha detto ieri il premier ceco Bohuslav Sobotka. «Il punto cruciale – ha aggiunto – è che tocca ai governi nazionali garantire la sicurezza dei propri cittadini». Come messaggio di benvenuto, a due giorni dall’arrivo della cancelliera, non c’è male. Sono gli stessi concetti espressi dai vertici della Slovacchia, presidente di turno dell’Ue, e dal primo ministro ungherese Viktor Orban quando afferma che Bruxelles non può «ridisegnare l’identità culturale e religiosa dell’Europa».

Contro le quote Slovacchia e Ungheria hanno presentato ricorso alla Corte europea di giustizia e Budapest ha indetto per il 2 ottobre un referendum in cui agli ungheresi viene chiesto se accettare o meno un numero di migranti stabilito dalla Ue. Secondo i sondaggi l’80% degli elettori la pensa come Orban. Come se non bastasse, poi, a complicare ulteriormente lo scenario c’è l’opposizione espressa sempre dal blocco di Visegrad a una liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi.

Quella che la Merkel ha di fronte è quindi una strada tutta in salita nella quale ai mal di pancia dovuti alla crisi dei migranti si aggiungono quelli che, sempre a Est, sono nati ormai da tempo per il protagonismo assunto negli ultimi mesi da Francia, Germania e Italia. Un protagonismo che a Varsavia come a Praga, Bratislava e Budapest viene considerato eccessivo al punto da ritenere necessaria la creazione di contrappesi politici. La scelta di organizzare il primo vertice post-Brexit a Bratislava e non a Bruxelles è una segnale che va proprio in questa direzione, ma non è il solo. Un altro è l’annuncio fatto dalla Slovacchia di una proposta di riforma del regolamento di Dublino che difficilmente andrà incontro ai desideri più volte espressi in merito dell’Italia. «Le decisioni cruciali sul futuro dell’Unione europea non possono essere prese solo da due o tre Stati fondatori», ha detto il premier slovacco Robert Fico presentando alla fine di giugno il semestre di presidenza Ue. Cancelliera avvisata…