Dal 31 marzo al 4 aprile 1982 si svolse a Rimini la prima conferenza programmatica del Psi. L’epitome dell’evento è il celebre discorso di Claudio Martelli, “Per un’alleanza riformista fra il merito e il bisogno”. Rileggerlo criticamente, oggi, quasi 40 anni dopo e in concomitanza con l’avvicendamento alla guida del Pd, può fornire utili indicazioni a chi si appresti a ricoprire questo ruolo. Colpisce, anzitutto, il livello dell’analisi e la cogenza dei riferimenti intellettuali.

Oggi siamo a “invidio il vostro costo del lavoro” o “lo smart working è da fannulloni”. Leggendo il discorso di Martelli emerge in modo plastico quanto la crisi dei partiti e il mancato ricambio della classe dirigente – arroccatasi sulla difesa di posizioni di rendita interna – abbia depauperato il dibattito politico. Siamo al vuoto politico e al potere per il potere.

In merito ai contenuti, ci sono (almeno) tre aspetti del discorso che interrogano l’oggi. Il primo, nell’incipit, è il primato della politica sulle soggettività sociali: “L’esigenza che oggi avvertiamo di individuare i soggetti sociali (…) del riformismo moderno (…) segue e non precede l’iniziativa politica. Una iniziativa politica riformista c’è già stata in questi anni prima che potessimo porci il problema della parte di società che potremmo rappresentare”. Oggi la situazione è al polo opposto. Noi non veniamo da una “stagione riformista” – qualunque cosa ciò possa significare – in cerca dei soggetti sociali da rappresentare.

Oggi, l’azione politica deve interrogarsi sui soggetti sociali che vuole rappresentare e a cui si rivolge. Da una parte, in negativo, dicendo chiaramente contro chi si agisce: la politica è anche (pur non solo) conflitto tra interessi. Togliere alla rendita per dare al lavoro ne è un esempio. In secondo luogo, il discorso di Martelli invita a interrogarsi oggi sul fulcro della sua argomentazione: “Il senso dell’alleanza riformista e socialista è e non può non essere nella sua essenza altro se non questo: l’alleanza tra il merito e il bisogno”.

Il concetto di merito è associato a quelle donne e uomini di talento e di capacità, persone utili a sé e utili agli altri, che progrediscono e fanno progredire un insieme o un’intera società con il loro lavoro, con la loro immaginazione, con la loro creatività, con il produrre più conoscenze. Concezione, questa, acriticamente ripresa da quanti oggi inneggiano alla “meritocrazia” e all’eguaglianza di opportunità, senza specificare che la prima era – nelle intenzioni di Michael Young che l’ha resa celebre – una distopia, mentre la seconda presenta moltissime implicazioni mai esplicitate fino in fondo dai suoi sostenitori.

Gli epigoni di questa concezione, poi, omettono la seconda parte della definizione di “meriti” data da Martelli, invero attualissima: il merito è una forma di potere e di “libertà di”. Chi merita è, dice Martelli, chi può agire. Il potere di agire, la libertà positiva che l’esercizio del merito e dei suoi correlati implica, non è mai messa a tema da chi, oggi, si rifà a questa prospettiva. E asimmetrie di potere eccessive, diritti di proprietà squilibrati, concentrazione cumulativa delle diseguaglianze, sono alla base della maggiore o minore possibilità di poter agire.

Non meno cogente, anzi forse più ancora, è questa prospettiva per il tema dei bisogni: “Le donne e gli uomini immersi nel bisogno sono le persone che non sono poste in grado di essere utili a sé e agli altri, coloro che sono emarginati o dal lavoro o dalla conoscenza o dagli affetti o dalla salute: sono coloro che devono agire”. Il bisogno pone le persone nella necessità di agire: accettare qualsiasi lavoro, mettere a rischio la salute in cambio di un salario, rinunciare a diritti di cittadinanza per guadagnare ciò che appena basta alla riproduzione materiale. Le situazioni di bisogno pongono le persone in condizioni di vulnerabilità, esclusione, diseguaglianza.

Martelli si interroga poi su chi siano i soggetti sociali dei meriti (che possono agire) e dei bisogni (che devono agire) e ne propone un’alleanza riformista, guidata dal Psi, che spiazzi il Pci e dia voce alla “maggioranza riformista”. Come è andata a finire, lo sappiamo. Ma i punti focali del discorso di Martelli “iniziativa politica-soggetti sociali-meriti-bisogni” interrogano anche oggi le forze politiche, che però ne fanno un uso sloganistico, privo dello spessore analitico che il discorso di Rimini portava con sé.

L’iniziativa politica è ridotta al leaderismo, senza articolare il tema della rappresentanza, della forma-partito e del ricambio della classe dirigente. I richiami ai soggetti sociali oscillano tra la falsa coscienza di un “interesse nazionale” e l’idea che il bene dei più forti equivalga al bene di tutti, per un meccanismo di “sgocciolamento” che in realtà ha già mostrato tutta la sua inconsistenza. Meriti e bisogni, poi, sono invocati senza riferirsi al tema dei poteri e della libertà di agire. Se i temi del “riformismo” del Pd sono questi, è bene attrezzarsi per non ripetere gli errori fatti in questi quarant’anni.

Twitter: @FilBarbera