«Quando ho iniziato a scrivere non pensavo certo al noir, né tantomeno a un thriller o a un poliziesco. Ho sempre desiderato scrivere una storia d’amore e con quell’idea in mente cominciai a lavorare al mio primo romanzo La muerte tendrá tus ojos (2008). Una volta terminato sono stata colta di sorpresa. Avevo inviato il manoscritto ad un amico che poi ha commentato così quanto aveva letto: “Il primo romanzo noir uruguaiano scritto da una donna!”. E quando, qualche tempo dopo mi è venuta voglia di raccontare la storia di una donna in sovrappeso, oppressa dagli standard estetici come l’obbligo di essere sempre bella, giovane, snella e ho scritto La donna sbagliata, è accaduta la stessa cosa. Perciò alla fine mi sono rassegnata: evidentemente qualunque cosa voglia scrivere diventa un noir».

Arrivata alla scrittura quasi per caso, con alle spalle una carriera nel sindacato, come docente universitaria e esperta di diritto, Mercedes Rosende è l’unica voce di genere del noir che arriva dall’Uruguay. Una voce originale e innovativa che associa ad una profonda e a volte amara ironia, uno sguardo lucido e dissacrante. Con La donna sbagliata , appena pubblicato da Sem (pp. 200, euro 16, traduzione di Pierpaolo Marchetti), Rosende si presenta al pubblico italiano insieme a Úrsula López, la sua imprevedibile detective improvvisata che fin da questa prima indagine fa i conti con i chili di troppo e con un’insaziabile curiosità che sconfina nel voyeurismo.

La scrittrice di Montevideo Mercedes Rosende

Úrsula non sembra essere solo una «detective» suo malgrado, innanzitutto è una donna che nell’affrontare ogni situazione indaga prima di tutto su se stessa. È questa la sua principale caratteristica?
Credo che la «cifra» di Úrsula sia la sua ironia, il suo modo di confrontarsi col mondo e di percepire se stessa. Come tutte le persone spiritose, innanzitutto si studia, si mette in dubbio e ride di sé. Autoconsapevolezza e senso dell’umorismo sono le sue caratteristiche principali. Così si approccia al mondo della malavita, del delitto: un po’ per scherzo, un po’ sul serio.

In «La donna sbagliata» si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte ad un personaggio anomalo, innovativo e per certi versi spiazzante rispetto ai canoni classici del romanzo poliziesco: come è nata la figura di Úrsula?
Il personaggio di Úrsula ha una storia originale. Prima di raccontarla devo però ammettere una cosa, vale a dire che sono molto pigra per quanto riguarda l’inventare i protagonisti delle mie storie, in generale preferisco prendere ispirazione dalla realtà: scelgo qualcuno intorno a me, come un vicino o un conoscente, un amico di un amico o un lontano parente. Scelgo il suo aspetto fisico, il tono di voce, lo stile con cui si veste e tre, quattro aspetti della sua personalità. Dopo di che lo modifico in favore della trama e voilà! Ecco creato il personaggio. Così, anche Úrsula è frutto di questo mio modo di procedere: è nata durante un’attesa in aeroporto. Stavo chiacchierando con un uomo ma gli rispondevo in maniera distratta fino a che non mi sono accorta che mi stava parlando della ex moglie che era esattamente il personaggio che stavo cercando: una donna di mezza età, in sovrappeso e di classe media, oppressa dai diktat estetici, dall’imposizione sociale di esser sempre bella, giovane e snella. Naturalmente questa era solo l’idea in nuce di Úrsula, però quella notte ho dormito cercando di immaginarmi con la mente un ritratto del personaggio, pensando ad aneddoti che mi sono appuntata al risveglio.

L’ironia, anche molto amara e dissacrante, sembra avere una parte importante nel suo modo di scrivere: come si concilia questo approccio con storie che parlano comunque anche di crimini e violenza?
Come ho raccontato, non sono partita con l’intenzione di scrivere un noir, però in qualche modo questo tipo di scrittura ha avuto la meglio nella mia opera e quando me ne sono resa conto avevo già scritto due romanzi in cui si mescolavano crimine, una certa dose di violenza e l’umorismo. Suppongo che questa mescolanza di accenti abbia a che fare con un modo di vedere il mondo, che ad essere sincera non so se appartiene più a me o a Úrsula. In ogni caso, si tratta di controbilanciare il peso di uno sfondo sociale oscuro e violento con una capacità d’osservazione acuta e ironica che non può che strappare un sorriso e dare da pensare ai lettori. La vita è troppo dura per prenderla sul serio come dice sempre.

Lei è la prima autrice di noir uruguaiana, un genere che conta però già molte interpreti in Paesi come l’Argentina, il Messico e il Brasile. Queste diverse voci femminili hanno qualcosa in comune?
Qualsiasi genere letterario sia quello in cui ci esprimiamo, come donne siamo abituate a fare uno sforzo ulteriore per ottenere una certa visibilità. E mi sembra che del resto lo stesso valga per quelle che tra noi aspirano a fare l’astronauta, l’ad di una multinazionale o chessò l’ingegnere. Una caratteristica comune tra le voci femminili dell’America Latina è che proviamo, ciascuna da una prospettiva differente, a modificare il noir classico: alcune di noi si concentrano sulla violenza fisica maschile, io ho preferito affrontare la violenza simbolica, come la pressione sociale degli standard poco realistici di bellezza fisica che devono sopportare le donne.

La memoria, individuale come collettiva, ha spesso un ruolo molto importante nel noir, e anche le indagini di Úrsula non sembrano fare eccezione da questo punto di vista. Quanto è presente il recente passato di regimi militari e autoritari dell’America Latina nei romanzi che si pubblicano oggi?
La memoria non ci lascia mai. La dittatura militare uruguaiana, caduta solo nel 1985, continua a far parte della letteratura del Paese, che venga espressamente menzionata o no. Ed è ancora più presente nel noir, in particolare nella sfiducia verso l’istituzione della polizia, nella diffidenza verso l’autorità.

Uno dei più noti scrittori dell’Uruguay, Juan Carlos Onetti, aveva creato Santa Maria, una città letteraria dove ambientare le sue storie: per lei quanto conta il contesto di Montevideo per far prendere corpo a ciò che vuole raccontare?
Viaggio spesso per lavoro alla volta di destinazioni che si potrebbero definire esotiche, e alcuni amici mi chiedono perché non voglia ambientare le mie storie nella Haiti più profonda, sull’altopiano della Bolivia o nelle isole del Nicaragua. Personalmente però mi domando perché mai dovrei farlo se ho accanto a me, a portata di mano una città così fotogenica e letteraria, così piena di luci e ombre, di contrasti, di angoli, di personaggi magnifici, ridicoli, miserabili come Montevideo. Per questo nelle mie storie ho scelto di usare la mia città non come una scenografia ma come un vero e proprio personaggio.