«I’m a dancer. It’s sufficient for me». Sembra una provocazione, è invece una delle tante dichiarazioni luminose di Merce Cunningham, rivoluzionario maestro americano della danza e della coreografia di cui si celebra in tutto il mondo nel 2019 il Centennial della nascita e il decennale della scomparsa. Un maestro la cui propositività, intelligenza creativa, modalità di relazione tra le arti proiettano dal Novecento al nostro tempo una visione feconda, un invito alla complessità nella limpidezza dell’assunto. L’occasione di parlarne è il magnifico Event che la compagnia Rambert ha proposto al teatro Valli di Reggio Emilia e che vedremo domani anche per Romaeuropa all’Auditorium Parco della musica – nell’ambito del Festival Aperto, manifestazione che ha offerto anche la proiezione di sei piccoli e rari film concessi dal Merce Cunningham Trust, e la presentazione, al Festival dei Popoli di Firenze, di Cunnningham 3D di Alla Kovgan, docufilm ricco di inediti materiali d’archivio sui primi 30 anni di attività del coreografo.

«SONO un danzatore, è sufficiente per me» dice appunto Cunningham nel film della Kovgan, perché è dalla danza, dall’interesse di estendere le possibilità del movimento, che il giovane danzatore avvia negli anni Quaranta la sua ricerca. Bellissimo vederlo provare nel film su stesso il mix tra la tecnica del balletto (astonishing lo definiva), interessante soprattutto per il vocabolario delle gambe, e la ricerca sulla mobilità del torso, scoperta dalla modern dance. Un corpo mosso in modo inedito, che esalta la decentralizzazione del movimento e, nella coreografia, la decentralizzazione dello spazio. Una fede nella disciplina, una devozione.

E C’È MOLTO altro. Con Cunningham si scopre la danza come arte autonoma, che in piena indipendenza incontra le altre arti, musica, scenografia, e i collaboratori hanno i nomi di John Cage, David Tudor, Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Andy Warhol. Un danzatore, un coreografo, un artista che si è misurato con intuito pioneristico con la tecnologia, sperimentando programmi informatici di composizione come Life Forms, che ha cambiato il modo di pensare alla creazione utilizzando nella coreografia le chances operations. Ed ecco lo spettacolo. Il Rambert Event nasce per la prima volta nel 2014, un evento site specific allestito a Londra nella nuova sede dalla Rambert, una delle più storiche compagnie inglesi di danza contemporanea. Gli events sono un marchio di fabbrica di Cunningham, allestimenti nei quali materiali presi da più titoli trovano un nuovo ordine grazie al lavoro creativo sulle transizioni, sempre molteplici. La Rambert, che ha in repertorio dieci lavori di Cunningham, è all’altezza della tecnica e del pensiero del maestro. I materiali che entrano nell’Event sono stati riallestiti da Jeannie Steele, danzatrice di Cunningham dal 1993 al 2005, lo sfondo, fatto da tredici quinte che hanno i colori e le sfumature dei costumi, vengono dalla serie di dipinti di Gerhard Richter, intitolati Cage (1) – (6). In buca c’è Philip Selway, batterista dei Radiohead, con i polistrumentisti Quinta e Adrian Utley. La partitura è un miracolo di elottroacustica eseguita dal vivo con pianoforte a coda, violino, xilofoni e sega ad arco. Paesaggi sonori in trasformazione, contemporanei all’esperienza visiva che si ha dalla scena.

UNA COMPOSIZIONE che investe il pubblico per la complessità limpida della scrittura sul corpo e nello spazio, con quelle corse, le pose, la velocità ritmica dei piedi, le torsioni, i lift, i cambi di direzione senza fronzoli, le miriadi di soluzioni che hanno le transizioni, quel crearsi e scomporsi di assoli, terzetti, quartetti, passi a due, mai enfatici, mai supponenti: «my only way to do it, it is do it». Pubblico entusiasta per una serata che esalta la portata di un maestro tutt’altro che passatista: un insegnamento sorprendente da far scorrere nelle nuove generazioni.